“Il IV Congresso del partito operaio socialdemocratico russo fu detto “unificatore” e fu organizzato appunto dai centri dirigenti delle due frazioni, menscevica e bolscevica, che alla fine del 1905 formarono un Comitato Centrale unificato per la convocazione del congresso. Il congresso, nel quale i delegati menscevichi erano in maggioranza, si svolse a Stoccolma nell’aprile del 1906. Due furono i punti politici centrali, nei quali si rifletteva l’esperienza di un anno di lotte rivoluzionarie: il problema agrario e la questione della Duma, l’assemblea rappresentativa istituita nel 1905. (…) La relazione di Lenin al Congresso non è conservata, ma il suo punto di vista è facilmente ricavabile da altri scritti del tempo e dal corso della discussione. Esso consisteva sostanzialmente nella proposta di confisca di tutte le terre appartenenti alla Chiesa, ai monasteri, allo Stato, ai proprietari e, in caso di vittoria della rivoluzione, in una loro nazionalizzazione. Alcuni bolscevichi, tra cui Stalin, proponevano invece una divisione della terra dei proprietari e un’assegnazione degli appezzamenti in proprietà privata ai contadini. Costoro, infatti, ritenevano che tra rivoluzione democratico-borghese e rivoluzione socialista intercorresse un periodo abbastanza lungo per giustificare questo assetto dell’agricoltura, mentre Lenin, che puntava su un accelerato passaggio interno dall’una rivoluzione all’altra, vedeva nella nazionalizzazione uno strumento atto a favorire tale trapasso. Ciò non gli impedì di unirsi, tuttavia, per ragioni tattiche, al progetto di coloro che volevano dividere le terre e assegnarle ai singoli contadini. La tesi menscevica, invece, era quella di una municipalizzazione della terra, della quale dovevano disporre gli organi di autogoverno locale. Da questi i contadini avrebbero ricevuto in affitto gli appezzamenti. Contro il progetto della nazionalizzazione vennero avanzate due considerazioni principali. Maslov, lo studioso menscevico della questione agraria, dopo avere fatto notare la varietà di condizioni economiche coesistenti in un paese di così vaste proporzioni come la Russia (…) affermò che la nazionalizzazione avrebbe avuto l’effetto negativo di unificare in una reazione controrivoluzionaria tutte le diverse zone dell’Impero russo. Secondo Maslov, si sarebbe avuta “non un’unica grande Vandea, ma una rivolta generale dei contadini contro il tentativo di un intervento da parte dello Stato per disporre degli appezzamenti di terra ‘propri’ dei contadini, contro il tentativo di nazionalizzarli”, e i reazionari si sarebbero  serviti di questo tentativo per spingere i contadini  a sollevarsi contro i rivoluzionari, per cui “la realizzazione del progetto” di Lenin, avrebbe portato “la rivoluzione non alla sua fine, ma al suo inizio”. (…) L’obiezione mossa da Plechanov al programma agrario di Lenin ha un carattere più teorico e avanza una critica  contro i bolscevichi già pronunciata, del resto, al tempo della polemiche sul ‘Che fare?’: Lenin si sarebbe staccato dalle posizioni marxiste per far rivivere, sotto sembiante socialdemocratico, la vecchia tradizione del populismo rivoluzionario russo, avvicinandosi persino alle posizioni neopopuliste del partito socialista-rivoluzionario. Al tempo stesso viene mossa a Lenin un’altra critica: quella di avere capovolto il proprio atteggiamento rispetto a quello degli anni ’90, quando, secondo i menscevichi, egli collaborava coi “marxisti legali”, verso i quali poi, ormai evoluti su autonome posizioni liberali, Lenin manifesterà costantemente, soprattutto a partire dal 1905, una totale avversione politica e un violento disprezzo intellettuale, a differenza dei menscevichi, che invece, come vedremo, mirarono a stabilire un rapporto critico ma costruttivo con la borghesia liberale” [Vittorio Strada, La polemica tra bolscevichi e menscevichi sulla rivoluzione del 1905. (in) ‘Storia del marxismo’, Torino, 1979] [Lenin-Bibliographical-Materials]  [LBM*]