“Nell’inglese, così come in altre lingue europee, la parola “capitale” esiste da molto tempo. Il suo impiego nell’accezione di ricchezza commerciale (dei mercanti), di cui ci si avvale per accumulare ancora più ricchezza, risale all’inizio del XVIII secolo (1709). Ma il concetto di “capitalista” è databile solo alla fine di quel secolo, quando, dopo la Rivoluzione industriale, lo troviamo utilizzato da Arthur Young (1792) nella sua relazione sui ricchi francesi che pagavano poche imposte dirette. Nel 1845 Disraeli, in ‘Sybil’, descrisse la povertà delle masse, in un periodo in cui “i capitalisti prospera[va]no e accumula[va]no immense ricchezze”. Il termine “capitalismo”, riferito a un sistema generale, compare nel racconto ‘La famiglia Newcome’ (1854) di Thackeray, nello stesso momento in cui la nozione veniva accolta e approfondita da Karl Marx (1). Fu Marx a sviluppare il concetto: “La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale. La produzione delle merci e la loro circolazione sviluppata, ossia il commercio, formano le premesse storiche del suo sorgere. Il commercio mondiale e il mercato mondiale iniziano nel XVI secolo la storia moderna della vita del capitale”. Secondo Marx è possibile rintracciare la produzione capitalistica già nel XIV e XV secolo, ma “l’era capitalistica data solo al XVI secolo” (2). Marx sostiene che il capitale commerciale, di per se stesso, non è in grado di spiegare la transizione da un modo di produzione a un altro, nonostante, tra i suoi effetti, ci sia quello della dissoluzione del feudalesimo. Tuttavia, quando emergono mezzi di produzione alternativi, come è accaduto con l’avvento dell’industrializzazione, il capitale mercantile si rende disponibile – si pensi, tra gli altri, al caso dell’India del XIX secolo – a essere investito nel nuovo assetto. Attraverso questo tipo di investimento, si ebbe un trasferimento generale dalla produzione tessile fondata sul lavoro a domicilio alla lavorazione in industrie meccanizzate, con operai salariati, in gran parte finanziati dal capitale mercantile. Fu la combinazione dei due fattori, il capitale (non solo dei mercanti) e i nuovi mezzi di produzione, a determinare il cambiamento. Prima che quest’ultimo si verificasse, ma in seguito a un incremento dell’attività commerciale, si ebbe un periodo, studiato da Marx, in cui, tra il XVI e il XVII secolo, il metodo feudale era ormai in crisi e quello industriale non era ancora sorto. E’ un periodo caratterizzato dal predominio dei commercianti e della cultura mercantile, manifesto in quella che [J.U.] Nef chiama la “Prima internazionale industriale” (databile attorno al 1540-1640), e al quale ci si riferisce spesso con il termine di “capitalismo mercantile”. L’analisi di Marx sulle origini e lo sviluppo del capitalismo si basa essenzialmente sull’esperienza europea. (…) Sono stati i mercati in ascesa, interni o esterni, a dare impulso alla produzione industriale (3). La trasformazione nel modo di produzione si basò sull’accumulo del capitale alimentato dall’importazione di materiali preziosi dall’America e dai profitti del commercio, compreso quello coloniale. “E’ certo” scrive Marx nel ‘Capitale’, “che nel XVI e XVII secolo le grandi rivoluzioni verificatesi nel commercio dopo le scoperte geografiche, e che celermente portarono a un alto grado di sviluppo il capitale commerciale, rappresentano un momento di basilare importanza, giacché resero più ampia la transizione dal modo di produzione feudale a quello capitalistico” (4)” [Jack Goody, Capitalismo e modernità. Il grande dibattito, 2005] [(1) Marx non utilizza la parola “capitalismo” fino alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento. Nella lingua inglese il primo riferimento compare in Thackeray, nel 1854, come si è detto, ma il termine si diffuse solo nell’ultima parte del secolo; (2) Marx (1867, libro I, sez. II, pp 125, 516); (3) Manifesto del partito comunista (1848); Marx (1867, libro III, sez. IV, p. 1139); Bottomore, Rubel (1956, p. 130)]
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- Articolo pubblicato:31 Ottobre 2014