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“Il capitalismo verrà a trovarsi in una crisi o sull’orlo di essa nel momento in cui l’accumulazione sociale del capitale si interromperà. In tale circostanza, alla classe operaia si presenteranno due alternative. Essa potrebbe accettare una sconfitta economica, politica e sociale per ripristinare le normali condizioni di riproduzione del capitale su scala allargata. Ciò potrebbe, per esempio, implicare una caduta dei salari o dell’occupazione, la partecipazione ad una guerra, o uno sconvolgimento delle condizioni di vita della classe operaia. L’alternativa consiste nella possibilità che essa rovesci il sistema capitalistico di produzione. Marx riteneva che le crisi fossero mali endemici del capitalismo e che soltanto in questo senso la rivoluzione contro il capitalismo diventava inevitabile. Perché la classe operaia sarebbe stata sconfitta ripetutamente, ma, grazie alla lezione tratta dalle sconfitte ed alla sua forza ed organizzazione crescenti, il proletariato avrebbe potuto infliggere una sconfitta definitiva alla borghesia. La teoria marxiana dell’inevitabilità delle crisi si basa sulla sua legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (…). Per il momento si deve osservare che nel capitalismo le crisi possono avere luogo indipendentemente dai movimenti del saggio di profitto ed anzi trovare origine all’esterno del vero e proprio ciclo del capitale, in connessione con sconvolgimenti sociali di carattere non immediatamente economico”  [Ben Fine, Il “Capitale” di Marx, 1981]