“Ma che cosa determina la stratificazione in classi della società borghese? Ovvero, come si legge nel frammento del capitolo LII nel libro III del ‘Capitale’, “che cosa fa sì che gli operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari costituiscano le tre grandi classi sociali”? (79). Per quanto riguarda gli operai salariati e i capitalisti, la risposta, evidentemente, può essere una sola: la loro funzione nel processo produttivo (80). Per il lavoro salariato, la cosa è ovvia: senza il rapporto salariale l’ordinamento sociale capitalistico sarebbe inconcepibile. Per valorizzarsi, il capitale deve trovarsi costantemente di fronte una classe di uomini che è priva di ogni mezzo di produzione e quindi deve acquistarsi una partecipazione al valore da essa prodotto fornendo pluslavoro. Ma anche l’esistenza e il ruolo della classe capitalistica (qui, naturalmente, si può parlare soltanto di capitalisti industriali (81)) dipendono dalla sua funzione nel processo produttivo. “Io rappresento il capitalista”, scrive Marx nelle ‘Glosse marginali al “Manuale di economia politica” di A. Wagner’, “come necessario funzionario della produzione capitalistica, e mostro molto per esteso che egli non solo “detrae” o “ruba” ma estorce la produzione di plusvalore, e quindi aiuta a creare ciò che poi viene detratto. Dimostro (82) inoltre ampiamente che nello stesso scambio di merci si scambiano solo equivalenti, e che il capitalista – appena ha pagato all’operaio l’effettivo valore della sua forza lavoro – si appropria il plusvalore con pieno diritto, cioè col diritto corrispondente a questo modo di produzione (83)”. Oppure, come si legge nelle ‘Teorie’: “Il capitalista è lo sfruttatore diretto dell’operaio, è colui che direttamente non solo si appropria ma fa nascere il pluslavoro. Ma poiché ciò non può avvenire per il capitalista industriale che attraverso e nel processo di produzione, è egli stesso funzionario di questa produzione, ne è il direttore” (84). Da tale punto di vista – poiché “lavoro oggettivato e lavoro vivo sono i due fattori sulla cui contrapposizione si basa la produzione capitalistica” – “capitalista e operaio salariato sono gli unici funzionari e fattori della produzione, la cui relazione e il cui contrapporsi scaturiscono dall’essenza stessa del modo di produzione capitalistico”. Ma appunto perciò si deve tracciare un confine ben preciso fra capitalista industriale e grande proprietario fondiario. Mentre infatti il primo, “presupposta la produzione capitalistica (…) è il funzionario non solo necessario ma dominante della produzione, il proprietario fondiario è, in questo sistema della produzione, del tutto superfluo (…). Agente così essenziale della produzione nel mondo antico e medievale, nel mondo industriale esso è” invece “un’escrescenza inutile” (86). E’ quindi perfettamente logico, osserva qui Marx, che gli economisti, e in particolare Ricardo, “partano dalla bipartizione fra capitalista e operaio salariato e non facciano entrare che più tardi il ‘rentier’ fondiario come speciale superfetazione (…). Questa riduzione, fondata sull’essenza del modo di produzione capitalistico – a differenza del feudale, dell’antico ecc. -, delle classi immediatamente interessate nella produzione, e quindi anche dei diretti partecipanti al valore prodotto, e al prodotto in cui questo valore si realizza, ai capitalisti e agli operai salariati con esclusione del proprietario fondiario, il quale interviene soltanto ‘post festum’, a causa di rapporti di proprietà sulle forze naturali che non sono scaturiti dal modo di produzione capitalistico, ma che gli sono stati tramandati, lungi dall’essere in Ricardo ecc. un errore (87) costituisce un’espressione teoretica adeguata del modo di produzione capitalistico, esprime la sua ‘differentia specifica’” (88). Ma dal fatto che il proprietario fondiario “non è un agente produttivo necessario per la produzione capitalistica” (89), non segue in alcun modo che egli non sia necessario per il mantenimento di questa produzione; che il modo di produzione capitalistico potesse nascere e svilupparsi anche senza la proprietà fondiaria. Al contrario, “se la terra fosse molto semplicemente a libera disposizione di tutti, mancherebbe uno degli elementi principali per la formazione del capitale. Questo essenzialissimo mezzo di produzione, il solo mezzo di produzione originario, oltre all’uomo e al suo lavoro stesso, non potrebbe venire alienato né appropriato, e quindi non potrebbe contrapporsi al lavoratore come proprietà altrui e fare di lui un operaio salariato. La produttività del lavoro (…) nel senso capitalistico, il “produrre” di un lavoro altrui non pagato, diventerebbe allora impossibile. Sarebbe la fine della produzione capitalistica” (90). Da questo punto di vista, “la proprietà privata del suolo – la proprietà privata degli uni implica la non proprietà degli altri – è la base del modo di produzione capitalistico” (91). Perciò il capitale non può nemmeno esistere senza la proprietà fondiaria (“che implica come sua antitesi”); perciò la trasformazione delle condizioni di lavoro in capitale presuppone non soltanto “l’espropriazione della terra appartenente ai produttori diretti”, ma nello stesso tempo “una determinata forma della proprietà fondiaria” (92). Certo, “la forma sotto la quale il modo di produzione capitalistico ai suoi inizi trova la proprietà fondiaria non gli corrisponde. Esso stesso crea la forma adeguata subordinando l’agricoltura al capitale (…)” [Roman Rosdolsky, Genesi e struttura del ‘Capitale’ di Marx, 1971] [(79) ‘Das Kapital’, III, p. 893 (Libro III, p. 1004); (80) In questo senso Marx parla di “classi economiche della società funzionalmente determinate (ivi, II, p. 359 (Libro II, p. 378)); (…) (84) ‘Theorien’, II, p. 149 (Storia, II, p. 267) (…); (85) ‘Theorien’, II, p. 148 (Storia, 9, p. 266) (…); (86) ‘Theorien’, II, pp. 38-9 (Storia, II, p. 192)); (87) Il passo citato è polemicamente diretto contro Rodbertus; (88) Ivi, pp. 148-9 (ivi, II, pp. 266-7); (89) Ivi, p. 148 (ivi, II, p. 266); (90) Ivi, p. 38 (ivi, II, p. 191); (91) ‘Das Kapital’, III, p. 820 (Libro III, p. 925) (…); (92) ‘Das Kapital’, III, p. 886 (Libro III, p. 997)]