“Lo sviluppo capitalistico, di cui si sono sopra delineati i tratti fondamentali, ha segnato non solo l’esistenza di un divario ormai incolmabile fra forme della produzione e rapporti sociali da un lato e dottrinarismo liberal-liberista dall’altro; esso ha del pari conferito alla società capitalistica contemporanea una fisionomia che non appare più riconducibile all’immagine costruita da Marx nel ‘Capitale’. Qualora si tenga presente che l’essenza del marxismo non sta in una analisi delle categorie astratte del modo capitalistico di produzione e neppure in una sociologia statica dei gruppi e delle classi sociali che in relazione a questo si formano, bensì in una interpretazione finalistica del dinamismo sociale, vale a dire in una interpretazione del senso della storia, alla luce di una ben definita concezione dei rapporti fra le classi sociali e dell’esito politico di siffatti rapporti, si può vedere come il capitalismo contemporaneo nelle sue punte avanzate non corrisponda più, sotto alcuni profili fondamentali, all’analisi marxiana: 1) la classe operaia ha assunto caratteristiche non più riconducibili a quelle che aveva all’epoca di Marx e neppure a quello prevista da Marx per il futuro: essa vive in condizioni di vita ben lontane da quella “degradazione” che questi riteneva una tendenza inevitabile dello sviluppo capitalistico, con la conseguenza che la sua coscienza (anzitutto negli Stati Uniti) tende ad esprimersi assai più in termini riformistici che in termini di rivoluzione globale; 2) il modo di produzione capitalistico ha raggiunto livelli di organizzazione interna, di “pianificazione”, di produttività, di integrazione internazionale, che Marx riteneva incompatibili con le sue possibilità; 3) la concentrazione della ricchezza e del potere, che pure si è realizzata su vasta scala, è avvenuta senza che si creasse quella contrapposizione frontale fra un pugno di magnati e la grande massa dei proletari che doveva, secondo Marx, costituire la base della rivoluzione proletaria e della successiva “dittatura del proletariato”. Questa concentrazione è per contro avvenuta insieme con una enorme dilatazione degli strati intermedi, con una crescente differenziazione all’interno del proletariato e infine con una diminuzione relativa di questo rispetto agli strati intermedi. In un simile quadro, va collocata la ricerca, faticosa e contraddittoria, di una via al socialismo che il movimento dei lavoratori e i suoi partiti conducono nei paesi di capitalismo sviluppato partendo dalle nuove realtà socio-economiche; ricerca nella quale il rapporto con la dottrina di Marx si configura, per gli stessi partiti comunisti occidentali, in forme di analisi critica e di “aggiornamento”, le quali riprendono di fatto nella sostanza alcune delle conclusioni cui era giunto Bernstein, il “padre del revisionismo”, già alla fine dell’Ottocento” [Massimo L. Salvadori, Storia dell’età contemporanea dalla restaurazione all’eurocomunismo. Volume terzo: 1945-1970, 1977] (pag 1279-1280)