“E se oggi volessimo confutare non solo la filosofia del lattemiele sociale, ma la scienza economica del capitalismo armonico e prosperizzante, ci basterebbe a demolire questa posizione “americanista” quanto Marx scrisse allora contro Proudhon, il suo “egualitarismo”, il suo “giustizialismo” economico. Engels, nel far prefazione all”Antiproudhon’ vi aggiunge a mò di appendice il discorso sul libero scambio del 9 gennaio 1848. ‘Vi è tutto’. “Che cosa è il libero scambio? E la libertà ‘del capitale’… Signori, non vi lasciate ingannare dalla parola ‘libertà’ (…). Libertà di chi? Non è la libertà di un semplice individuo di fronte a un altro individuo. ‘E’ la libertà che ha il capitale di schiacciare il lavoro”. (…) “Allo stesso modo che ‘tutto è divenuto monopolio” (1848! 1848!) “vi sono ai giorni nostri alcuni rami industriali che dominano tutti gli altri (allora era il cotone, oggi l’acciaio e il petrolio; ma quale prova è in questo della possanza della teoria!) e che assicurano ai popoli che li fanno produrre maggiormente ‘l’imperio sul mercato dell’universo'”. “Se i libero-scambisti non possono comprendere come un paese può arricchirsi a spese di un altro, non dobbiamo meravigliarcene (…) perché questi stessi signori non vogliono neppur comprendere come, nell’interno di un paese, una classe può arricchirsi a spese di un’altra”. Nel 1884 Engels svolge la critica di Rodbertus, e la collega ad un altro breve testo di Marx del 1859 di critica a Gray, con alcune pagine veramente perspicue sulla nostra teoria economica, che battono in breccia il primo ingenuo socialismo equo-ripartitore, coi buoni di lavoro al posto del denaro, colla redistribuzione ai proletari del profitto dei capitalisti nazionali. “E’ una diretta applicazione della teoria di Ricardo (partizione del reddito nazionale tra rendita ai proprietari, profitto ai capitalisti, salario ai lavoratori) la rivendicazione ai lavoratori della totalità della produzione sociale, in quanto prodotto di essi soli. ‘Senonché essa è tanto totalmente falsa, come spiega Marx, in quanto è semplicemente una applicazione della morale all’economia’. Ecco perché Marx non ha mai fondato su ciò le sue rivendicazioni comuniste. ‘Ma piuttosto sulla necessaria rovina del sistema capitalista’”. La pagina andrebbe tutta letta e meditata a fondo, per seppellire ancora una volta la imbecillità della “armonica e giusta distribuzione” del reddito, che si trascina da oltre un secolo come un inciampo insidioso sul cammino del programma rivoluzionario. E con la stessa critica Engels ribatte una volta ancora la teoria del “minimo vitale” lasciato all’operaio, sulla traccia della polemica antilassalliana di Marx contro le buaggini della “bronzea legge del salario” e dello “indeminuto frutto del lavoro”, più volte da noi rievocata. Fin dal discorso del 1848, prima che nella scientifica esposizione del Capitale, Marx infatti stabilisce la previsione dell’aumento del saggio del salario, e sia pure di ciò che il banale linguaggio dell’economia ufficiale chiama ‘potere di acquisto’ del salario, o salario reale. E ciò senza nulla togliere alla previsione dello scontro di classe rivoluzionario, alla insostenibilità del capitalismo. Il “minimo vitale” come la “scala mobile” sono parole di agitazione riformistoidi, non espressioni ammissibili in economia marxista. Un passo al riguardo, dal ‘Discorso’, sempre nella impossibilità di citare tutto il testo: “Le leggi che gli economisti hanno esposte sono tutte stabilite nella supposizione che gli ostacoli alla libertà commerciale non esistano (questo è da capire; Marx dimostra che gli ostacoli non fanno che crescere, ma pur dando di questo sviluppo esposizioni che assurgono a vere profezie, segue i predecessori in una monumentale “probatio ad hominem”, in una “reductio ad absurdum”, e stabilisce la tesi; ‘anche’ se la libertà di scambio è illimitata, le leggi della immancabile rovina del capitalismo valgono in pieno. Dominando la libertà del fatto economico il capitalismo, come Marx previde, rinvia sì la sua fine, ma conferma la inevitabilità e la grandiosità della esplosione rivoluzionaria, verso cui procede). La prima di queste leggi è che la concorrenza riduce il prezzo di ogni merce al minimo del suo costo di produzione. Onde il minimo del salario è il prezzo naturale del lavoro. E che cosa è il minimo del salario? E’ precisamente quel che occorre per far produrre gli oggetti indispensabili al sostentamento dell’operaio, per metterlo in grado di nutrirsi bene o male e di propagare stentatamente la sua razza. ‘Non crediamo per questo che l’operaio non avrà che questo minimo di salario. No, secondo questa legge la classe operaia sarà qualche volta più felice e avrà più del minimo’; ma questa eccedenza non sarà che il supplemento di ciò che essa avrà al di sotto del minimo nei tempi di ristagno industriale… la classe operaia non sarà conservata come classe che dopo molte sventure e molta miseria, dopo aver lasciati sul campo di battagli industriale ‘molti cadaveri’. Ma che importa? La classe operaia sussisterà sempre, e per di più si sarà accresciuta”. E Marx riduce gli economisti apologeti del capitale ad un dilemma insuperabile: o rinnegate tutta la vostra economia basata sulla supposizione del libero scambio; o ammettete che in una tale economia gli operai sono colpiti da tutto il rigore delle leggi economiche” [(Amadeo Bordiga), ‘Il proletariato cliente. Politica economica USA – pacchiana’, Sul filo del tempo, Battaglia comunista, n° 1, 9-23 gennaio 1952]