“Generalmente si suppone che Marx abbia preannunziato un costante declino dei salari reali con lo sviluppo del capitalismo, e che i fatti lo abbiamo smentito. Questo, io credo, è un equivoco. Io non conosco alcun passo in cui Marx dice tutto questo a chiare lettere; e il contesto dei suoi tanto citati riferimenti all'”impoverimento crescente” (nel capitolo XXIII del vol. I del ‘Capitale’ intitolato ‘La legge generale dell’accumulazione capitalistica’, paragrafi 3 e 4) mostra chiaramente che egli aveva in mente soprattutto l’esercito industriale di riserva dei disoccupati o dei sottoccupati cronici (l’impoverito strato dei “lazzari” della classe operaia) nel cui “destino” egli comprendeva cose come l’insicurezza, la perdita del prestigio e dell’orgoglio del proprio mestiere, la “degradazione mentale” e l'”ignoranza” nonché la mancanza di mezzi materiali di sussistenza. In ogni caso, anche questa tendenza era accompagnata dalle sue controtendenze; e alla fine del paragrafo 3 di questo stesso capitolo egli esalta la capacità delle associazioni sindacali di “spezzare o affievolire le rovinose conseguenze che quella legge naturale della produzione capitalistica ha per la loro classe”. Altrove lo stesso Marx ripudiò espressamente la così detta “legge bronzea dei salari” (spesso erroneamente attribuita a lui, mentre l’espressione appartiene a Lassalle), e sottolineò che le associazioni sindacali non soltanto potevano far aumentare, per un certo tempo il “prezzo di mercato” della forza di lavoro al di sopra del suo “valore”, ma che in questo “valore” (o “livello normale”) interveniva un elemento “sociale e storico”, che differiva secondo i tempi e i luoghi, e conseguentemente rendeva quest’ultimo soggetto a cambiamento storico”. In ogni caso per Marx il modo preciso in cui agivano queste tendenze contava meno che le “contraddizioni”, e quindi i conflitti sociali che esse alimentavano” [Maurice Dobb, Il capitalismo ieri e oggi, 1962]