“Arturo, del resto, cominciò a firmare per esteso i suoi articoli, e Labriola si limitò a prenderne le distanze in privato, avvertendo (il 7 agosto 1892) Engels di non aver “niente che fare” con lui (“E’ un ragazzo che non può leggere i libri sui quali sproposita”); e affibbiandogli (lettera a Turati, 22 agosto 1892) un nomignolo – “Labriolino” – che fissava il divario di età e di statura scientifica. I due mantennero rapporti, furono anche in corrispondenza, e il filosofo intervenne in aiuto di Arturo, quando questi fu proposto per il domicilio coatto. Ne scrisse a Croce (il 29 settembre 1894), dipingendolo come un “precoce letterato” inoffensivo e “nevrotico” (“un grande orditore di cospirazioni di bicchieri d’acqua fresca al piccolo caffé De Angelis”): “E’ senza dubbio un giovane d’ingegno, amante della lettura, di una cultura molto disordinata, e di una svegliatezza veramente napoletana (…). E’ uno studente napoletano… e niente altro, che deve aver molto declamato contro la polizia, la quale ora si vendica”; in realtà “meriterebbe solo la pena pedagogica di essere condannato a studiare e capire le cose di cui scrive e parla”. Ma pochi mesi dopo Labriola venne a sapere che Arturo (“un birichino di professione”) non solo si spacciava per suo figlio, ma si avvaleva – per salvarsi dal domicilio coatto – dell’appoggio di ex ministri e prefetti, interessati da Francesco Saverio Nitti (che faceva “il mestiere di denigrare il socialismo”). Ne scriveva “‘indignato'” ad Engels (il 15 febbraio 1895), dicendo d’aver “trattato come si meritava, e come io so fare in buona lingua” il “signorino” “amico e protetto del Nitti”; e prorompeva in una delle sue considerazioni pessimistiche (“potendo ogni uomo essere cattivo, l’Italiano è quasi necessariamente canaglia”). Da quel momento in poi i rapporti tra i due andarono progressivamente guastandosi, fino agli insulti e alle minacce; Arturo, dal canto suo, riprese a firmarsi con la sola iniziale del nome, e l’equivoco dilagò senza freni. Il Labriolino fu relatore al congresso del partito socialista di Firenze (11-13 luglio 1896), e non pochi giornali lo chiamarono Antonio (cfr. la lettera di Labriola a Croce del 16 luglio 1896); partì volontario in soccorso di Creta aggredita dai turchi, e la “Gazzetta di Venezia” (editoriale del 16 gennaio 1898) attribuiva ad “un tal Labriola, che tiene a Roma cattedra di socialismo e di stramberie”, un articolo di Arturo – di riflessione sulla sua non gloriosa esperienza garibaldina – apparso nella “Critica sociale” (‘L’ultima delusione sulla guerra’, 1° giugno 1897, pp. 166-167). Lo stesso articolo aveva indotto il filosofo a scrivere a Karl Kautsky (il 10 agosto 1897): “il signor Arturo (che non è nostro parente) è scappato dal campo dei volontari in Grecia, di fronte al nemico, e, non bastandogli di essere stato un vigliacco ha in seguito filosofeggiato in modo impudente sulla sua viltà, sui giornali borghesi italiani e anche sulla ‘Critica sociale'”. Molti ormai confondevano Labriolino col figlio Alberto Franz (pressoché suo coetaneo, e allora studioso di economia politica), e nell’errore incorrono anche amici di vecchia data; (…)” [Stefano Miccolis, L’importanza di chiamarsi A. Labriola, Belfagor, n° 305, V 30 settembre 1996]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:20 Marzo 2014