“Il proletariato esegue la sentenza che la proprietà privata emette contro se stessa generando il proletariato, così come esegue la sentenza che il lavoro salariato emette contro se stesso producendo la ricchezza altrui e la miseria propria. Se gli scrittori socialisti attribuiscono al proletariato questa missione storica mondiale, non è perché elevino i proletari a divinità. Al contrario. Il proletariato può e deve liberare se stesso proprio perché nelle sue condizioni di vita si riassumono, come nella loro espressione più disumana, le condizioni di vita di tutta la società moderna; perché in lui l’uomo si è perduto, ma nello stesso tempo ha non soltanto raggiunto la coscienza teorica di questa perdita, ma tratto dal bisogno inderogabile, impellente, assoluto – espressione pratica della necessità – lo stimolo ad insorgere contro questa realtà disumana. Ma non può liberarsi se non superando le sue condizioni di vita, e non può superare queste condizioni se non superando ‘tutte’ le condizioni inumane di vita della società moderna, che nel suo stato sociale si riflettono. Non invano esso compie la dura ma temprante scuola del lavoro. Non si tratta dunque di sapere che cosa questo o quel proletario, o magari anche tutto il proletariato, ‘s’immagina di essere’: ma di sapere ‘che cosa è’ e che cosa, conformemente a questo ‘essere’, è costretto storicamente a fare. Poiché la sua meta e la sua azione storica sono irrevocabilmente tracciate nelle sue condizioni di vita, nell’intera organizzazione della società borghese” [Karl Marx, La Sacra Famiglia, (1914) (cit. 1946)]
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- Articolo pubblicato:19 Febbraio 2014