“Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e l’arresto di decine di deputati dell’opposizione, in larga parte appartenenti alla ‘Montagne’, l’occupazione di luoghi strategici nella capitale, la sospensione immediata di fatto dei giornali, la proclamazione dello Stato d’assedio e la contestuale sospensione della Costituzione, ebbero per strumento la perfetta efficienza dell’esercito. In quel momento finivano la metafora del cosacco e il modello reazionario di antico regime sarebbe sopravvissuto solo nelle aree arretrate. Si entrava nel lungo nuovo secolo della reazione moderna ma l’obbiettivo era il medesimo di sempre. L’evento travolse mesi di prospettiva strategica dei “montagnardi”. Nella sua analisi a caldo, Marx scrisse, forse con qualche ingenerosità: “Era sufficiente ascoltare i presuntuosi latrati di trionfo coi quali i signori democratici si felicitavano reciprocamente per gli effetti miracolosi della seconda (domenica) di maggio del 1852 (a). La seconda (domenica) di maggio era diventata per loro un’idea fissa un dogma, come pei chiliasti il giorno in cui Cristo avrebbe dovuto risorgere un’altra volta e dar principio al regno millenario. La debolezza aveva trovato un rifugio come sempre nella fede nei miracoli; credeva di aver battuto il nemico perché lo aveva esorcizzato nella propria fantasia; perdeva ogni comprensione del presente, rapita nell’inerte esaltazione dell’avvenire e delle azioni ch’essa aveva in animo di compiere e non voleva ancora tradurre in atto. Gli eroi, che si sforzavano di smentire la propria manifesta incapacità inviandosi a vicenda le loro condoglianze e accozzandosi in un sol mucchio, avevano già fatto le loro valigie, si erano cinte in anticipo come corone d’alloro ed erano occupati a scontare in borsa le repubbliche ‘in partibus’ per le quali, nel silenzio delle loro anime modeste, avevano già avuto la previdenza di organizzare il personale governativo. Il 2 dicembre li colpì come un fulmine a ciel sereno” (1). Nell’analisi di Marx sul colpo di stato, compiuta tra il dicembre del 1851 e il marzo del 1852, poi confluita negli scritti del ‘Diciotto brumaio di Luigi Napoleone’, il precedente ottimismo lasciava spazio all’analisi critica e addirittura sprezzante sulle potenzialità rivoluzionarie della classe operaia francese, subordinatasi a dottrinari e piccola borghesia (2). L’analisi contestava la lettura di Hugo, giudicandola tutta puntata sulle caratteristiche umane di “Napoléon le petit” e quella di Proudhon affermando che il francese, in certo modo, aveva enfatizzato la figura del Bonaparte. Ricostruiva le diverse fasi della rivoluzione di febbraio, ed era assai critica verso il ruolo rivestito da Ledru-Rollin e dagli altri protagonisti del governo repubblicano. Li giudicava incapaci di cogliere le modalità della ricomposizione conservatrice, di valutare adeguatamente passaggi come quello del 10 marzo 1850, individuava nell’impianto istituzionale le radici della dittatura. Anche sulla base di quell’analisi si accentuava il distacco di Marx dalla democrazia socialista e repubblicana, con crescente disprezzo (3). Il 2 dicembre, agli occhi di Marx ed Engels, andava messo in relazione all’evoluzione dell’economia internazionale, come modalità moderna della conservazione sociale ai danni delle classi popolari, ed era un approccio diverso da quello di Mazzini, orientato invece a sottolineare le carenze del movimento democratico che si associavano alla confusione del quadro ideologico (4). La resistenza operaia a Parigi e altrove non poté impedire un atto che, per quella classe sociale, era stato già ampiamente compiuto. Ma fu un grande atto di orgoglio repubblicano, giacché non erano più cosa sua la Costituzione e l’Assemblea nazionale. Presto la parola passò agli ideologi della dittatura, pronti a traghettare i moderati verso il nuovo potere e a travestire da pragmatismo “repubblicano” la loro complicità (…)” [Fabio Bertini, Figli del ’48. I ribelli, gli esuli, i lavoratori. Dalla Repubblica Universale alla Prima Internazionale, 2013] [(1) Karl Marx, The Eighteenth Brumaire of Louis Bonaparte, cit., pp. 185 segg.; (2) Cfr. Leonard Krieger, Marx and Engels as Historians, “Journal of the History of Ideas”, 1953, vol. 14, n. 3, giu., pp. 381-403, Bernard H. Moss, Marx and Engels on French Social Democracy: Historians or Revolutionaries?, Vol. 46, No. 4 (Oct. – Dec., 1985), pp. 539-557; (3) Bernard H. Moss, Marx and Engels on French Social Democracy: Historians or Revolutionaries?, cit, pp., 539-557; (4) Karl Marx – Friedrich Engels, Sul Risorgimento italiano, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, 1959] [(a) Secondo l’art. 45 della Costituzione del 1848, la seconda domenica di maggio del 1852, sarebbe scaduto il mandato quadriennale del presidente della repubblica e sarebbe stato eletto il nuovo presidente. I democratici della Montagna, specialmente gli esuli, speravano che tale elezione avrebbe portato il loro partito al potere. Perciò essi anche dopo la soppressione universale, orientarono la loro attività in quella prospettiva (ndr: f. MIA)]