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“Osservando che il socialismo pre-marxiano era utopistico perché non aveva individuato “la ‘forza sociale’ capace di diventare creatrice di una nuova società” (54), Lenin coglierà nel segno. Il proletariato era per così dire ‘invisibile’: tendeva ad apparire un’appendice della “classe industriale”, sansimonianamente (o hegelianamente) concepita, in termini corporativi, come un tutto organico comprensivo di operai e capitalisti. D’altronde ciò è detto a chiare lettere nel ‘Manifesto’, che sottolinea come gli “inventori” dei sistemi utopistici “non scorgano alcuna autonoma attività storica da parte del proletariato, alcun movimento politico che gli sia proprio” (55). In questo senso appare almeno in parte come un esercizio di ‘wishful thinking’ retrospettivo l’affermazione di Engels (nelle prefazioni alle edizioni inglese e tedesca del ‘Manifesto’, rispettivamente del 1888 e 1890) secondo cui nel 1847 il comunismo di Weitling e Cabet costituiva un “movimento della classe operaia”, in quanto tale contrapposto al socialismo, considerato “un movimento borghese”, espressione della “classe media” (56). Ancora per tutti gli anni Quaranta le posizioni di Marx e di Engels sono deboli in seno al movimento e allo stesso partito comunista tedesco, che – come Marx rivela a Pawel Annenkow nel dicembre del ’46 – ostacola la pubblicazione dell”Ideologia tedesca’ a causa delle critiche che essa svolge nei confronti delle sue “utopie e declamazioni” (57). Per quel che riguarda la Francia, non va dimenticato che, benché scritta in francese, la grande opera polemica di Marx contro Proudhon passò pressoché inosservata, senza riuscire a scuotere il prestigio del suo obiettivo polemico (58), e questo forse sconsigliò di procedere immediatamente a una edizione tedesca (che vedrà la luce solo dopo la morte di Marx, nel 1885). Del resto anche le lotte in seno alla Prima Internazionale, ancora a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, avrebbero dimostrato la lunga durata della battaglia ingaggiata da Marx ed Engels allo scopo di porre la situazione del proletariato operaio (e contadino) al centro delle analisi e della strategia del movimento rivoluzionario. Per quanto essi si sforzino di dipingere un quadro rassicurante, dichiarando (nel 1872) che “dei sansimonisti, dei fourieristi e degli icariani gli operai di Parigi e Lione volevano saperne tanto poco quanto i cartisti e i trade-unionisti inglesi degli owenisti”, cosicché “la massa del proletariato rimane sempre indifferente e anzi ostile alla loro propaganda” (59), non si può non concordare con il giudizio generale formulato al riguardo da un autore tutt’altro che ben disposto nei confronti degli autori del ‘Manifesto’. Il quale osserva che “durante tutta la sua carriera di rivoluzionario Marx ha dovuto combattere con i socialisti retrogradi, come li chiamava lui, che vedevano nel socialismo più una restaurazione della solidarietà precapitalistica che lo sviluppo e il compimento della rivoluzione borghese” (60)” [Alberto Burgio, Modernità del conflitto. Saggio sulla critica marxiana del socialismo, 1999] [(54) ‘Drei Quellen und drei Bestandteile des Marxismus (1913) (in Werke, cit,, Bd XIX, Dietz, Berlin, 1962, p.7); (55) MEW IV, p. 490 (Manifesto del partito comunista); (56) Ivi pp. 580 e 585; (57) MEW XXVII, p. 462 (lettera ad Annenkow del 28 dicembre 1846); (58) Cfr. Franz Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca (1897-98), Editori Riuniti, Roma, vol I, p. 309; (59) MEW XVIII, p. 33 (Le pretese scissioni nell’Internazionale); (60) Lasch, Il paradiso in terra, cit., p. 139]