“Le origini della pianificazione sono estremamente complesse. Se Marx è stato, come si afferma talvolta, il padre della pianificazione, la sua paternità è stata di natura indiretta e principalmente negativa. Mentre scrisse molto sull’anarchia della produzione sotto il capitalismo, egli non offrì alcun programma di quella produzione più disciplinata che ci si sarebbe potuti attendere dal socialismo. Egli previde che sarebbe scomparso il commercio nel senso capitalistico, ma non dette alcun suggerimento per la creazione di un sistema socialista di distribuzione, diverso dalla proposizione ingenua (mirante forse ad essere accettata più come simbolo che alla lettera) secondo la quale i lavoratori avrebbero “ricevuto degli assegni di carta per mezzo dei quali avrebbero ritirato dallo spaccio sociale dei mezzi di consumo una razione corrispondente alla durata del loro lavoro” (1). Si possono indicare tre ragioni per le quali Marx non riuscì a tracciare nulla che appaia come uno schema di ordinamento socialista pianificato. Marx fu anzitutto per temperamento e per convinzione il nemico giurato dell’utopia sotto qualsiasi forma. Nei suoi anni giovanili egli s’impegnò in vivaci polemiche contro i socialisti utopistici che si trastullavano con le visioni irreali della futura società socialista. In un suo opuscolo pubblicato per ultimo, ‘La guerra civile in Francia’, egli spiegò che gli operai non hanno “utopie bell’e pronte” e non hanno “ideali da attuare” e sanno che “dovranno passare attraverso lunghe lotte, attraverso una serie di processi storici, trasformando le circostanze e gli uomini”. Questa fiducia “scientifica”, quasi deterministica, nella trasformazione della società grazie a immanenti “processi storici”, sembra essere implicitamente, benché forse inconsapevolmente, avversa ad un attivo conseguimento della pianificazione. D’altra parte, Marx applicò gli strumenti dell’analisi economica al sistema capitalistico, ma non appare che egli considerasse questi strumenti come strumenti adatti alla concezione di un potenziale ordinamento socialista. In un’opera giovanile egli definì Proudhon come un uomo che si “dondolava costantemente fra il capitale e il lavoro, fra l’economia politica e il comunismo” (2). L'”economia politica” era a suo modo di vedere qualcosa che apparteneva essenzialmente al capitalismo e che sarebbe stata abbandonata assieme col capitalismo. Le categorie economiche tradizionali del valore, del prezzo e del profitto avrebbero cessato di applicarsi in una società collettiva; perfino la teoria del valore-lavoro avrebbe cambiato senso (3). Ma Marx non aveva nuove categorie da sostituire alle vecchie e non aveva strumenti di analisi economica da adoperare non appena il capitalismo fosse stato abbandonato. Le discussioni sulle funzioni del prezzo e del profitto in un’economia pianificata sarebbero avvenute molto tempo dopo. Terza e più importante considerazione: Marx non riuscì a concepire uno sviluppo serio della pianificazione per l’incapacità in cui si trovò di stabilire da chi avrebbe dovuto essere attuata la pianificazione in un ordinamento socialista. Dopo aver vivacemente condannato i sostenitori del liberismo, egli si sentì profondamente vincolato a diverse asserzioni implicite in questa dottrina e benché fondasse il suo sistema sul primato dell’economia rispetto alla politica, egli le considerava tuttavia come sfere distinte. Ad ogni modo lo Stato, come organismo politico, era destinato a svanire in un tempo non molto lontano e non poteva essere l’arbitro della pianificazione nell’ordinamento futuro. Marx trasse da questo presupposto la conseguenza che, essendo la produzione sottoposta, in un regime socialista, “al controllo cosciente e preordinato della società” (4), la stessa società avrebbe dovuto essere “organizzata sotto forma di associazione cosciente e sistematica”, nella quale gli stessi produttori “avrebbero regolato lo scambio comune invece di consentirgli di dominarli come forza cieca” (5). Mentre qualche genere di pianificazione e di direzione della vita economica faceva evidentemente parte integrante del socialismo, Marx si accontentò di ammettere che queste funzioni sarebbero state svolte non già dallo Stato o da altri organismi politici, bensì dagli stessi produttori, e non andò oltre questo punto” [E.H. Carr, L’ influenza sovietica sull’Occidente, 1950] [(1) Marx, Il Capitale, Vol. II, p. 412 della trad. ingl. del 1907; (2) Marx, La miseria della filosofia, p. 166 della trad. ingl.; (3) Marx ed Engels, Opere, Vol. XV, p. 273 dell’ed. russa; (4) Marx, Il Capitale, Vol. III, p. 221 della trad. ingl.; (5) Marx, Il Capitale, Vol. III, p. 773 della trad. ingl.]