“Con questo cosa si vuol dimostrare? Si vuol dimostrare che se è vero che possono esistere Stati il cui unico scopo è quello di “tenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione” (Engels), è altrettanto vero che possono esistere, e di fatto esistono, Stati che si pongono esattamente l’obiettivo contrario, l’eliminazione dello sfruttamento; e comunque se realmente lo sfruttamento attecchisce soprattutto nella sfera “a-statale”, è ovvio che solo lo Stato, soltanto un tale ordinamento costrittivo, è in grado di por fine a questa condizione di vessazione. D’altronde, la dittatura del proletariato non è forse etichettata come uno Stato da Marx ed Engels? E qual è il fine che a questo meccanismo coercitivo essi assegnano se non quello dell’abolizione di ogni forma di oppressione? Non è pertanto contraddittorio definire lo Stato come un meccanismo coercitivo per il mantenimento dello sfruttamento e al tempo stesso profetizzare l’avvento di un apparato costrittivo che si varrà della sua forza per sradicare insieme con lo sfruttamento tutte le brutture del mondo capitalistico? Come si vede, la stessa dottrina marxista, per l’uso che fa del concetto di Stato “mostra che l’ordinamento coercitivo chiamato Stato può servire scopi molto diversi ed opposti tra loro. Se è così, vuol dire che lo scopo non deve essere incluso in una definizione scientifica di questo fenomeno” (1); definizione scientifica – è questa la conclusione kelseniana – che, “con l’unica eccezione del momento costrittivo, deve fare astrazione da ogni configurazione contenutistica dell’ordinamento coercitivo” (2). Le norme giuridiche, cioè, possono ispirare il loro contenuto al liberalismo, al socialismo e a qualsiasi altro sistema di idee; quel che in esse non potrà mai mancare è il collegamento della sanzione all’illecito. Insomma: variabile è il contenuto, invariabile è invece la struttura, la “forma” delle regole giuridiche. E’ ben per questo che solo quest’ultima può costituire l’oggetto di una indagine scientifica del diritto e dello Stato. Il bello è che per i marxisti la struttura della norma giuridica non è affatto immutabile. L’elemento sanzionatorio, questo tratto qualificante della regola di diritto, non è per essi destinato a durare in eterno: ha ragione di esistere fin quando la società è divisa in classi e si fonda sullo sfruttamento del proletariato. A loro avviso, infatti, “la causa sociale fondamentale degli eccessi, che consistono nel violare le regole della vita, è lo sfruttamento delle masse, il loro bisogno e la loro miseria” (3). Le violazioni dell’ordinamento giuridico, i turbamenti che giustificano la predisposizione di sanzioni per la punizione del reo, sono causati unicamente da un determinato assetto economico. Una volta che la perfetta società comunista avrà abolito con la proprietà privata la matrice di tutte le perversioni, non vi sarà più bisogno di comminare atti coercitivi: tutti obbediranno spontaneamente e con entusiasmo all’ordinamento di questa comunità. L’apparato costrittivo, lo Stato, potrà finalmente essere relegato nel posto che da quel momento gli spetta, “cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo” (4). La critica di Kelsen su questo punto è quanto di più lucido si possa immaginare. Egli contesta che lo Stato possa un giorno estinguersi” [Gaetano Pecora, La democrazia di Hans Kelsen. Una analisi critica, 2006] [(1) H. Kelsen, La teoria politica del bolscevismo e altri saggi, cit., p. 55; (2) H. Kelsen, Socialismo e Stato, cit., p. 21; (3) V.I. Lenin, Stato e rivoluzione, 1972, p. 100; (4) F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1976, p. 204]