“La “forma cooperativa del lavoro”, di cui parla Marx, s’attua in maniera decisiva nelle specifiche relazioni tra lavoratori. E qui precisamente sta anche il punto di gravità della nuova società. La complessiva forza di lavoro della società, – nella società capitalistica pura la forza di lavoro del ‘proletariato’ – non solo è uno dei due componenti del concetto di forze produttive (giacché le forze produttive non sono altro che la somma totale dei mezzi di produzione esistenti e delle forze di lavoro), ma è anche la più importante forza produttiva, come fu ripetutamente rilevato dagli antichi economisti. D’altro canto, i rapporti reciproci tra i lavoratori costituiscono l’elemento fondamentale dell”apparato personale’ lavorante. Quindi appunto qui dobbiamo cercare gli elementi fondamentali della nuova struttura della produzione. Precisamente in tal guisa fu concepito il problema da Marx, il quale nella classe operaia “ammaestrata dallo stesso meccanismo del processo capitalistico di produzione, unita e organizzata (1)” vedeva il fondamento dei futuri rapporti di produzione e a un tempo anche la forza che realizza tali rapporti (2). Questa tesi è essenziale. Il “maturarsi” dei rapporti comunistici di produzione nei quadri della società capitalistica consiste infatti precisamente in questo ‘sistema di cooperazione, che prende corpo nelle condizioni di lavoro degli operai’ e che a un tempo fonde insieme gli atomi umani della classe rivoluzionaria, del proletariato. Il criterio della “maturità” è quindi dato precisamente da questo momento, che naturalmente è funzione dello sviluppo delle forze produttive, ma che dal punto di vista della tecnica dell’organizzazione sociale passa in prima linea. Da questo punto di vista dell’organizzazione sociale la “maturità” della società capitalista è perfettamente intelligibile, e tutte le considerazioni relative rivolte a “negarla” sono non sensi metafisici di apologeti del capitalismo. L’esistenza di un’organizzazione metodica dentro i paesi capitalistici dilaniati dalla concorrenza, l’esistenza, a un certo periodo, di un ‘capitalismo di Stato’, è un argomento empirico a favore della “possibilità” dell’ordinamento comunista. In effetti: facciamo astrazione per un momento dal concreto rivestimento storico del processo produttivo e consideriamolo esclusivamente sotto l’aspetto dell’interna logica astratta della produzione. Allora possono darsi due casi, e ‘due soli’ casi: o la socializzazione del lavoro permette tecnicamente d’instaurare un’organizzazione metodica in una qualsiasi figurazione sociale, oppure il processo di socializzazione del lavoro è talmente fiacco, il lavoro talmente “disperato” (secondo l’espressione di Marx) da essere in generale impossibile ‘tecnicamente’ una qualsiasi razionalizzazione del processo sociale di lavoro. Nel primo caso la “maturità” esiste, nel secondo no. Questa è la impostazione ‘generale’ del problema per ‘qualsiasi’ figura di “socializzazione” cosciente e formale. Da ciò consegue, che quando il capitalismo è diventato maturo per il ‘capitalismo di Stato’, è maturo anche per l’età dell’edificazione comunista” (3)” [N. Bucharin, ‘L’economia del periodo di trasformazione’ (in)  ‘Rassegna comunista, teoria – critica – documentazione del movimento comunista internazionale, edita dal Partito comunista d’Italia, Milano, N° 28  15 Settembre 1922, pag 1367-1376] [(1) Nella “Miseria della filosofia” Marx parla della organizzazione degli elementi rivoluzionari come classe” (‘Miseria’, p. 168). Nel ‘Manifesto dei comunisti’ si trova la seguente descrizione dei rapporti cooperativi tra gli operai: – “Il lavoro salariato si fonda ‘esclusivamente’ (corsivo mio, N.B.) sulla concorrenza reciproca tra operai. Il progresso dell’industria… sostituisce all’isolamento dei lavoratori determinato dalla concorrenza l’unificazione rivoluzionaria di essi mediante l’associazione. Pertanto con lo sviluppo della grande industria viene a mancare sotto i piedi della borghesia la base stessa, sulla quale essa produce e s’appropria i prodotti. Essa produce soprattutto i propri becchini”. Questo passo è citato da Marx nella nota 252 alla fine del 24° capitolo del 1° volume del “Kapital” (ediz. popolare, p. 261). E’ evidente che Marx considera il proletariato non soltanto come forza che attua il “violento rivolgimento”, ma anche come la personificazione sociale di quei rapporti cooperativi, che si sviluppano dentro il capitalismo ed offrono la base per il modo socialista (alias comunista) di produzione. E. Hammacher, ‘Das phylosophisch-ökonomisch System des Marxismus ( – il sistema filosofico-economico del marxismo), Lipsia 1909, scopre che Marx abbia sviluppato tale concetto nella “Miseria” e nel “Manifesto”, ‘in contrasto’ col “Capitale”. Evidentemente è perciò che Marx cita i relativi passi nel “Capitale”!; (2) ‘Kapital, vol. I, Amburgo, 1914, p. 728; (3) L’incommensurabile palese bassezza delle teorie opportuniste consiste appunto in ciò, che esse sono d’accordo col capitalismo di Stato e invece protestano contro il socialismo che pur non protesta e riconosce ‘a parole’, fuori della pratica]