“Rivoluzione permanente, nel significato attribuitole da Marx, è una rivoluzione che non transige con nessuna forma di dominazione di classe, che non si arresta alla fase democratica, ma passa alle misure socialiste e alla guerra aperta contro la reazione esterna, una rivoluzione di cui ogni fase è contenuta in germe nella fase precedente, una rivoluzione che si arresta solo con la totale liquidazione della società divisa in classi. Per eliminare la confusione creata attorno alla teoria della rivoluzione permanente, bisogna distinguere tre categorie di idee che si fondono in questa teoria. La teoria riguarda anzitutto il problema del passaggio della rivoluzione democratica alla rivoluzione socialista. E, in fondo, questa è la sua origine storica. L’idea della rivoluzione permanente fu avanzata dai grandi comunisti della prima metà del secolo XIX, da Marx e dai suoi discepoli, in contrapposizione all’ideologia borghese che, come è noto, pretende che, dopo l’instaurazione di uno Stato “razionale” o democratico, tutte le questioni potranno essere risolte attraverso la via pacifica dell’evoluzione e delle riforme. Marx considerava  la rivoluzione borghese del 1848 come il preludio immediato della rivoluzione proletaria. Marx si “sbagliava”. Ma il suo era un errore di fatto e non di metodo. La rivoluzione del 1848 non si trasformò in rivoluzione socialista. Ma appunto per questa ragione non portò all’affermazione della democrazia. Quanto alla rivoluzione tedesca del 1918, non è affatto il completamento democratico di una rivoluzione borghese: è una rivoluzione proletaria decapitata dalla socialdemocrazia o, più esattamente, è una controrivoluzione borghese costretta, dopo la vittoria sul proletariato, a conservare ingannevoli sembianze democratiche” [Leon Trotsky, La teoria della rivoluzione permanente] [in Leone D. Trotsky, Scritti scelti, 1905-1940, 1980]