“Max Horkheimer è tutt’altro che forastico. Come sanno a volte esserlo gli autentici pessimisti (Schopenhauer è stato il maestro poetico della sua gioventù, Marx il precettore critico della sua maturità), è un uomo socievole, sorridente, colloquiale, elegante. L’intellettuale raffinato e il grande borghese si fondono nelle sue maniere civili, nel nodo della cravatta intrecciato con disinvolta maestria, nell’abito di taglio esatto e solido: si avverte l’umanista tedesco di classe, il conversatore dotto che trascorse parte dei pomeriggi della sua vita sulla costa americana del Pacifico in compagnia di Adorno e Thomas Mann. (…) Un po’ meno illustre di Adorno, più riservato, più nitido come scrittore, più filosofo, Max Horkheimer può essere considerato l’autentico fondatore e promotore della “scuola di Francoforte” nel cui clima si è formata la grande protesta sociologica di massa, poi dilatata in azione politica dalla corrente estremistica dei marcusiani. (…) Sul rapporto che ci sembra essenziale ai fini dell’intervista, di Horkheimer con Marx, otteniamo la risposta: “Marx ha avuto molta influenza sulla mia formazione sociologica; penso sempre che egli sia stato il più grande critico della struttura economica della società nel secolo XIX. Oggi, però, sono diventato io stesso critico nei confronti di Marx e del marxismo. La pretesa odierna del marxismo di applicare concetti aggressivi come “dominio di classe” o “imperialismo” soltanto agli Stati capitalistici e non altrettanto agli Stati che si suppongono comunisti, è in contrasto con gli impulsi che, da sempre, mi mossero nella mia ricerca. Il socialismo, l’idea di una vera democrazia, sono stati da lungo tempo pervertiti nei Paesi del Diamat (materialismo dialettico burocratizzato) in uno strumento di manipolazione, come lo fu il Vangelo nei secoli cruenti della cristianità”. […] “Frequentandolo, e ascoltandolo talvolta parlare con amarezza della dissoluzione dello spirito religioso nella società e nella famiglia contemporanee, si poteva quasi fraintenderlo e dubitare che fosse lo stesso uomo che aveva organizzato da solo e in équipe una delle più implacabili critiche culturali al mondo moderno. (…) Il filosofo, il critico della società, il costruttore della più raffinata demolizione di tutte le illusioni ottiche della civiltà industriale, sottintendevano senza rivelarlo in superficie un teologo deluso. Nei momenti in cui m’accorgevo di questo suo fondo mistico e teologale, che teneva più della psicologia che della sua formazione intellettuale, tornavo sempre a scrutarne con rinnovata curiosità i tratti del volto. Riscoprivo, dietro le spoglie del grande borghese tedesco, del rampollo elegante anche negli abiti di una dinastiia industriale sveva, i segni caprigni e dolenti di una testa da antico rabbino. Capivo allora per un attimo che, alla formazione del suo pensiero, oltre a Hegel, a Marx, a Nietzsche, a Schopenhauer, a Freud, avevano collaborato in maniera più atavica e più inconscia, ma forse più indelebile, anche Abramo e Mosè. Ed era molto difficile dire, in quell’attimo, dove finisse il professore tedesco che conosceva a memoria ‘Il Capitale’ e ‘La fenomenologia dello spirito’, e dove ricominciasse il bambino semita che aveva compitato le prime sillabe sull’Antico Testamento” [Enzo Bettiza, ‘Il filosofo tradito’ e ‘Horkheimer’] [(in) Enzo Bettiza, Saggi. Viaggi. Personaggi, 1984]