“Eppure per un altro verso la città e la fabbrica sono la sede del più brutale ottundimento. E’ un tema su cui Hegel non si stanca di insistere. Se il testo a stampa si limita a constatare seccamente che nella fabbrica moderna il lavoro diventa “sempre più ‘meccanico’” (FD: § 198), le lezioni si esprimono in termini decisamente più drammatici: “tali operai si ottundono, sono legati ad una sola operazione, e cioè sull’orlo dell’abisso; dall’altro lato viene degradato il loro spirito”. Succede allora che “nel lavoro si smarrisce lo spirituale, che è il cogliere, osservare e padroneggiare un molteplice” (L 1822-3: § 198). Ecco dunque che il lavoro da strumento di elevazione anche culturale e spirituale si è rovesciato nel suo contrario. Il lavoro è diventato ormai così meccanico che l’operaio può essere sostituito dalla macchina. E’ certamente avendo alle spalle la lezione di Hegel che il giovane Marx può affermare che il lavoro “produce spiritualità e produce imbecillità, il cretinismo dell’operaio”; sì, la realtà della fabbrica moderna è che essa “respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l’altra parte” (Manoscritti economico-filosofici, MEW, I. Ergänzungs-bd., p. 513; tr. it. di G. Della Volpe, in ‘Opere filosofiche giovanili’, Roma, 1963, p. 196). Ma la grandezza di Hegel – e anche qui emerge la linea di continuità che conduce a Marx – è nel fatto che questa constatazione oggettiva dell’ottundimento prodotto dalla fabbrica non produce alcuna nostalgia regressiva, ché anzi il filosofo non si stanca di sottolineare che si deve alla divisione del lavoro lo sviluppo impetuoso delle forze produttive, riportando a questo proposito, in quasi tutti i corsi di lezione, l’esempio, desunto da Smith, della fabbrica di spilli che, grazie alla divisione del lavoro, può realizzare una produzione ‘pro capite’ di gran lunga superiore a quella dell’artigiano più abile (op. cit., I, 1; tr. it. cit., pp, 9-10). Si comprende allora perché Hegel ritorna ripetutamente sul tema della divisione del lavoro, delle sue potenzialità progressive ma anche, per un altro verso, disumanizzanti” [G.W.F. Hegel, a cura di Domenico Losurdo, Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, 1989]