“Le città sono come trasformatori elettrici: esse aumentano le tensioni, precipitano gli scambi, rimescolano all’infinito la vita degli uomini. Sono nate dalla più antica, dalla più rivoluzionaria divisione del lavoro: campi da un lato, attività cosiddette urbane dall’altro. “L’opposizione tra città e campagna – ha scritto Karl Marx nei suoi scritti giovanili – comincia con il passaggio dalla barbarie alla civiltà, dal regime tribale allo Stato, dal luogo geografico alla nazione, e si ritrova in tutta la storia universale”. Le città sono anche formazioni parassitarie, abusive. Erodoto parla già dei mangiatori di miglio a nord del Mar Nero, che coltivavano il grano per le città greche. Il dialogo città-campagna è in realtà la prima, la più lunga lotta di classi che la storia abbia conosciuto. Non condanniamo e non prendiamo le difese di nessuna delle due parti: queste città parassite sono anche l’intelligenza, il rischio, il progresso, la modernità verso cui si muove lentamente il mondo. Ad esse, i cibi più raffinati, le industrie di lusso, la moneta più agile, ben presto il capitalismo calcolatore e lucido. Allo Stato, sempre piuttosto greve, prestano la loro insostituibile vivacità. Sono gli acceleratori dell’intero tempo della storia. Il che non significa che esse non facciano soffrire gli uomini nel corso dei secoli; anche gli uomini che in esse vivono” [Fernand Braudel, Capitalismo e civiltà materiale (secoli XV-XVIII), 1977]
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- Articolo pubblicato:22 Aprile 2013