“Il testo su cui vale la pena di meditare è quello nel quale è inclusa la proposizione sul crollo, che prima abbiamo riportato. “Il furto del tempo di lavoro altrui, sul quale si basa la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile in confronto a questa nuova base creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte di ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la misura del valore d’uso. Il lavoro eccedente della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle potenze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo produttivo materiale immediato viene a perdere esso stesso la forma della miseria e dell’antagonismo” (Marx, ‘Grundrisse’, ndr). E’ da notare, in primo luogo, come queste proposizioni siano, per così dire, modellate sulla teoria del valore-lavoro: la base della ricchezza odierna è il furto del tempo di lavoro altrui; la condizione dello sviluppo delle potenze generali della mente umana è il non-lavoro dei pochi. Il capitalista qui non è più la figura del capitale, ma è assimilato al signore dello sfruttamento precapitalistico. Ma, malgrado la forma su cui sono modellate, queste proposizioni hanno una sostanza che è indipendente da tale forma. Il fatto che nell’industria moderna sia incorporata una scienza, una tecnica e un’organizzazione, che sono separate dall’operaio, nel senso che sono pensate, elaborate e applicate in luoghi sociali ai quali il lavoratore non ha accesso, dà luogo a una “base miserabile” per la produzione della ricchezza, perché quei luoghi, quale che sia la loro eccellenza qualitativa sono quantitativamente una parte ben misera, appunto, della società tutt’intera. La gran parte della società è cioè esclusa, per quanto riguarda la produzione, da un’attività razionale, o, in generale, da un operare che abbia connotazioni specificamente umane. Questa divisione della società in due parti, di cui l’una lavora come semplice appendice della macchina, mentre l’altra concentra in sé il sapere, l’applicazione del sapere e la gestione del processo di produzione, è d’altra parte la conseguenza diretta del fatto che il fine a cui la società capitalistica risulta oggettivamente ordinata non è “il libero sviluppo delle individualità”, attraverso “la riduzione a un minimo del lavoro necessario della società”, ma la conservazione “come valore del valore già creato”. La produzione come fine in sé, che pure per tutta una fase storica ha introdotto una sollecitazione sistematica allo sviluppo delle forze produttive, cessa di produrre tale sollecitazione dal momento in cui la forza produttiva essenziale sarebbe l’appropriazione da parte di tutti della conoscenza e quindi della possibilità di un operare umano, e conseguentemente dal momento in cui lo sviluppo della ricchezza cesserebbe di identificarsi con lo sviluppo della ricchezza materiale. E’ questa l’indicazione che sembra scaturire da queste pagine di Marx” [Claudio Napoleoni, Discorso sull’economia politica, 1985]