“Karl Marx era deciso, in quanto pontefice dell’avvenire, a contrapporre alla durezza dei dominatori del suo tempo – viveva in mezzo all’epoca della reazione, delle sue sempre crescenti vittorie, fra il 1848 e il 1883 – una durezza ancor più dura. La sua visione conteneva tutta la forza di Mosè: occorrevano soltanto gli uomini e il potere, per liberare questa forza di rivolgimento totale. Dove sono questi uomini? In Prussia? In Francia? In Inghilterra? In America? In un articolo di fondo del 14 giugno 1853 per la “New York Daily Tribune”, di cui Marx è corrispondente a Londra nel 1850-62, descrive l’apocalittico stato di corruzione e di reazione in cui è caduta l’Europa dopo il 1848. I partiti ufficiali inglesi si trovano in completo dissolvimento; tutta la macchina statale della Francia si è tramutata in una gigantesca impresa di ciarlatani e speculatori di borsa; l’Austria è sull’orlo della bancarotta; là “dove l’ingiustizia si accumula dappertutto, e dev’esser vendicata dal popolo”, dove le forze reazionarie litigano fra loro, “e dove il sogno di conquista russo si rivela ancora una volta al mondo”, come si può trovare uno stimolo positivo per la rivoluzione in Europa? Marx risponde: in Cina. Il suo articolo è intitolato: ‘Die Revolution in China und in Europa’ (La rivoluzione in Cina e in Europa). L’Inghilterra, con la guerra dell’oppio, ha portato la rivoluzione in Cina. “Può sembrare un’affermazione assai strana e paradossale, dire che la prossima insurrezione del popolo in Europa e il suo prossimo passo avanti verso la libertà repubblicana e un buon governo può dipendere più da quel che ora avviene nel celeste impero – l’antipodo diretto dell’Europa – che da qualsiasi altra causa politica attuale – più ancora che dalle minacce russe e di conseguenza da una probabile guerra generale europea” (K. Marx, Ueber China, Berlin, 1955, pp. 11 sgg.)” [Friedrich Heer, Europa madre delle rivoluzioni. Volume primo, 1968]