“Ma accantoniamo per il momento la distinzione tra razionalità e normatività, prendendo in esame il modo in cui Polanyi affronta un ‘topos’ della filosofia e delle scienze sociali del Novecento: il parallelo tra Karl Marx e Marx Weber. Il limite di Marx consiste a suo avviso nella mancata avvertenza che la dominanza dell’economico si dà soltanto nella società capitalistica. In una sezione della raccolta curata nel 1968 da George Dalton ‘Primitive, Archaic and Modern Economies’, significativamente intitolata ‘Economia e società’, Polanyi scrive: “La scoperta dell’importanza dell’economico nell’ambito di un’economia di mercato lo indusse [K. Marx] a sopravvalutare l’influenza del fattore economico in generale, in tutti i tempi e luoghi. Questo si rivelò un grave errore”. Se questo fu il grave errore di Marx, in che cosa consiste invece per Polanyi il limite di Weber? La risposta è oltremodo significativa: il limite di Weber consiste nel guardare all’economico attraverso gli occhiali che gli erano stati forniti proprio da Marx. Nessun intento denigratorio in questa individuazione del limite: Weber, infatti, condivide la suggestione marxiana con i maggiori scienziati sociali non marxisti del suo tempo: da Ferdinand Tönnies a Werner Sombart, da Franz Oppenheimer a Carl Lamprecht. Solo che quel condizionamento ha in lui un esito paradossale. Weber accetta, almeno sul piano euristico, il primato dell’economico; ma, essendo convinto della superiorità del sistema di mercato, il suo atteggiamento non sarebbe marxista bensì “mercatista”. Paradossalmente, dunque, il “mercatismo” di Weber discenderebbe per via diretta dalla descrizione del capitalismo fornita da Marx. Di qui – precisa Polanyi – l’insopprimibile ambiguità della nozione weberiana di “economico”, segnata da un’oscillazione irrisolta tra significato sostanziale e significato formale di “economico”” [Giacomo Marramao, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, 2003]
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- Articolo pubblicato:30 Gennaio 2013