” (…) Davide Ricardo (‘On the Principles of Political Economy and Taxation’, London, 1817) nel 1817 così spiegava la genesi della rendita: “Si paga una rendita per l’uso (del terreno) perché col progredire della popolazione si devono coltivare terreni di qualità inferiore o siti meno vantaggiosamente. Quando, progredendo la società, si sottopone a coltura la terra di secondo grado di fertilità, si manifesta immediatamente la rendita della terra di prima qualità: l’importo di tale rendita dipende dalla differenza di qualità di queste due parti della terra. Quando si sottopone a coltura la terra di terza qualità, la rendita si manifesta immediatamente nella terra di seconda qualità: come nel caso precedente, essa è regolata dalla differenza che passa tra i loro poteri produttivi. Aumenta, contemporaneamente, la rendita della terra di prima qualità, la quale è sempre necessariamente superiore alla rendita della terra di seconda qualità, in ragione della differenza che passa tra quanto esse producono con una data quantità di capitale e lavoro. Ad ogni successivo stadio del progredire della popolazione, che costringe un paese a far ricorso a terreni di qualità peggiore per permettergli di provvedersi dei beni agricoli che gli occorrono, aumenta necessariamente la rendita di tutti i terreni più fertili”. Alla enunciazione ricardiana faceva seguito la critica del Carey (H.C. Carey, Principles of Political Economy, Filadelfia, 1837-1840) che partiva dalla constatata priorità con la quale, nello sviluppo storico della economia agraria nord americana, si erano sfruttati i terreni meno fertili ma più vicini alla costa nei confronti dei terreni interni più fertili. Fu merito di Von Thünen (J. Von Thünen, Der Isolierte Staat, Hamburg, 1826, pp. 212-213) aver chiarito che, nella analisi della rendita, la differente produttività dei terreni non andava considerata soltanto in relazione alle loro caratteristiche agronomiche di fertilità ma anche per la differente influenza dei costi di trasporto dei prodotti, conseguente alla diversa posizione dei terreni nei confronti dei mercati di consumo. Il Von Thünen proponeva quindi, nella analisi della rendita, anche l’aspetto “urbano” del fenomeno riportando nella sua opera che “se indaghiamo sui motivi per cui la rendita del terreno aumenta avvicinandoci al centro della città, troveremo che si tratta della minor fatica, della maggior convenienza e della riduzione della perdita di tempo per motivi di lavoro”. Pur accettando l’impostazione teorica ricardiana della rendita “differenziale”, Carlo Marx intuisce la coesistenza di rendite “assolute” derivanti dalla scarsità della terra, conseguente alla proprietà privata di tale fattore naturale. La mancanza di terre fertili ed accessibili porta al dispiegarsi di rendite anche per i terreni di minore produttività. Sugli effetti del regime di proprietà privata delle terre nella formazione delle rendite assolute, così si esprime Marx (C. Marx, Il Capitale libro III (ried. Roma 1968, vol. VI, p. 322): “La proprietà fondiaria è la barriera che non consente ad alcun nuovo investimento di capitale sulla terra fino allora non coltivata o non affittata senza ottenere una imposta e cioè senza pretendere una rendita”. Nella storia del pensiero economico si ritrova comunque per la prima volta una analisi dei valori dello spazio urbano con l’opera di Alfredo Marshall (A. Marshall, Principles of Economics, London, 1890). In precedenza Adamo Smith, nella visione della improduttività del terreno urbano, aveva ricollegato la genesi del suo prezzo alla situazione di monopolio dei proprietari, anticipando indirettamente l’enunciazione marxiana della rendita assoluta. Marshall intuisce che i valori dei terreni urbani “sono il risultato indiretto del progresso generale della società” e che essenzialmente si compongono di “valori di situazione” e cioè del valore monetario dei vantaggi differenziali di una posizione rispetto alle altre. Tale “valore di situazione”, derivante prevalentemente da azioni e da investimenti pubblici, diminuito del valore agricolo di un terreno analogo ma privo di vantaggi posizionali, corrisponde alla attualizzazione di rendite di posizione. Il Marshall inoltre intravede la correlazione tra le tipologie edilizie ed i valori delle aree urbane in quanto che “una persona che progetti la costruzione di una fabbrica, se il terreno è a buon mercato, ne prenderà molto: se è caro ne prenderà meno e costruirà un edificio alto”. Tale correlazione era denunciata nel 1889 dal Sitte (C. Sitte, L’arte di costruire città, ried. Milano 1953, a cura di L. Dodi) che considerava i prezzi delle aree come causa della loro esasperata utilizzazione e, quindi, della decadenza architettonica della città” [Carlo Forte, Analisi storica della rendita urbana, 1970]