“Per Locke, invece, è fuori discussione che una situazione di crisi può o dev’essere fronteggiata da un potere non legato ad una “regola”, cioè al rispetto delle regole del gioco. Montesquieu, ammiratore dell’Inghilterra liberale, non ha alcun dubbio sul fatto che rientra nella “consuetudine dei popoli più liberi che siano mai stati sulla terra” il “mettere per un momento un velo sulla libertà, così come si nascondono le statue degli dei”. Diversi decenni più tardi, John Stuart Mill dichiara a sua volta che è pienamente legittima “l’assunzione di un assoluto potere sotto forma di dittatura temporanea”, in casi di “necessità estrema”, ovvero di “malattia del corpo politico che non può essere curata con metodi meno violenti”. Al di là dell’Atlantico, Hamilton si spinge sino a sottolineare la necessità, per le situazioni d’emergenza, di un potere “senza limiti” e senza “vincoli costituzionali”. Non è certo la teorizzazione, in determinate circostanze, della dittatura, a costituire la discriminante tra tradizione liberale da una parte e dall’altra Marx e Engels, i quali semmai hanno ben presente e condannano l’appoggio degli ambienti liberali francesi al colpo di Stato di Napoleone I e la “fretta indecorosa” – l’espressione è di Marx (MEW, vol. XVII, p. 278) – con cui proprio l’Inghilterra liberale saluta Napoleone III e l’avvento del regime bonapartista. Ed è appena il caso di aggiungere che, in occasione del primo conflitto mondiale, nulla trovano da eccepire i liberali europei e americani contro l’instaurazione di una dittatura più o meno esplicita e la legislazione d’emergenza con la quale i paesi belligeranti cancellano le regole del gioco, in modo da poter sviluppare senza impaccio quella mobilitazione e guerra totale contro cui invece insorgono la rivoluzione d’Ottobre e il movimento rivoluzionario di ispirazione marxista” [Domenico Losurdo, Utopia e stato d’eccezione. Sull’esperienza storica del “socialismo reale”, 1996]
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- Articolo pubblicato:10 Dicembre 2012