“Dopo la Comune di Parigi, i vincitori in Francia e in Europa non si accontentano della repressione, hanno bisogno anche della demonizzazione degli sconfitti, da Bismarck esplicitamente assimilati a delinquenti comuni. Sul piano “scientifico”, viene elaborata una teoria, in base alla quale l’insurrezione operaia sarebbe stata l’espressione di una regressione atavica o di un’improvvisa irruzione della barbarie nel seno della civiltà. A questa sbrigativa liquidazione della Comune danno il loro bravo contributo anche personalità che pure, sino a quel momento, avevano partecipato attivamente al movimento democratico: si pensi a Victor Hugo per la Francia e a Giuseppe Mazzini per l’Italia. Marx (e l’Internazionale) si sente costretto a intervenire e interviene su due piani. Richiama l’attenzione sulle realizzazioni positive e gravide di futuro dela Comune, in secondo luogo, s’impegna a difenderne la memoria storica, scontrandosi senza esitare con l’opinione e l’ideologia dominante: “Questa civiltà scellerata, fondata sull’asservimento del lavoro, soffoca il gemito delle sue vittime sotto uno strepito di calunnie che trovano un’eco mondiale”. Marx non esita a contrapporre violenza a violenza, orrore ad orrore. La borghesia che si strappa le vesti per “l’esecuzione da parte della Comune dei sessantaquattro ostaggi con l’arcivescovo di Parigi alla testa” rimuove un fatto fondamentale: era stata proprio essa a introdurre la pratica di uccidere i prigionieri indifesi e di prendere ostaggi. In ogni caso, bisogna saper distinguere tra “il vandalismo di una difesa disperata”, proprio dei Comunardi, e “il vandalismo del trionfo” (Marx-Engels 1955, vol XVII, pp. 357-9, La guerra civile in Francia). A dover essere difesa non è solo la memoria storica del movimento socialista. Marx conosceva troppo bene la storia antica per ignorare i massacri di cui si erano macchiati Spartaco e gli schiavi insorti. Per di più, queste rivolte non avevano prodotto, non avevano cercato né potevano cercare di produrre qualcosa di nuovo. Avevano solo tentato di rovesciare le parti nel rapporto schiavistico che costituiva l’essenza della società del tempo, transformando in schiavi i padroni del mondo. Eppure, in una lettera a Engels del 27 febbraio 1861, Marx definisce Spartaco “il figlio più nobile di tutta la storia antica, vero rappresentante dell’antico proletariato”. Va da sé che Marx non intende celebrare o giustificare le stragi degli schiavi in rivolta, epperò si rifiuta di prendere sul serio le prediche ipocrite dei loro padroni, colpevoli di una violenza ben più criminale e per di più divenuta pratica quotidiana” [Domenico Losurdo, Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese oggi, 2012]