“Per Schumpeter, il capitale non è cosa, ma “agente”. Non esprime “la natura tecnica di certi beni”, ma è potere di mobilitazione di mezzi di produzione e di forza-lavoro verso la produzione con surplus di valore. Si materializza nella moneta messa a disposizione dell’imprenditore, ma è fattore di cambiamento della struttura produttiva , dei rapporti tra le classi, dell’assetto della proprietà. (…). Il capitale inteso come moneta destinata alla produzione per il profitto esprime in sintesi la concezione di Schumpeter dei rapporti che si instaurano tra le classi sociali entro l’organizzazione capitalistica della produzione. Perciò Schumpeter si avvale di questa occasione per pronunciarsi sulla teoria marxiana della riproduzione capitalistica, fondata sulla sfruttamento. Sebbene per lo più latente, il suo confronto con Marx è continuo. Schumpeter condivide con Marx proprio quegli interessi teorici, che sono estranei agli economisti, che, come lui, rifiutano la teoria marxiana del valore lavoro: l’interesse per una “teoria del processo vitale della società economica”; per il “problema dell’organizzazione dell’economia”; per “i movimenti reciproci concreti” dei redditi e per le “funzioni sociali che essi svolgono”. (…) Come lo stesso Schumpeter dichiara, il capitale nella sua teoria non è più ciò che separa “l’operaio dai mezzi di produzione e trasforma questi ultimi in mezzi di sfruttamento del primo”. Esso perde la natura di termine dialettico rispetto al lavoro, attribuitagli da Marx, anche se conserva la duplice valenza di mezzo di comando a disposizione dell’imprenditore per ottenere surplus di valore e di espressione dei rapporti tra classi entro un’organizzazione della produzione storicamente determinata” [Nicolò De Vecchi, Schumpeter viennese. Imprenditori, istituzioni e riproduzione del capitale, 1993]
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- Articolo pubblicato:30 Novembre 2012