“Nel meccanismo capitalistico classico (tanto per fare un riferimento illustre, quello che Karl Marx aveva di fronte quando scriveva ‘Salario, prezzo e profitto’), gli incrementi della produttività del lavoro avevano effetti redistributivi. Il prodotto netto era distribuito in maniera diversa fra salari e profitti. Un aumento dei salari faceva diminuire il profitto e non aveva alcun effetto sui prezzi. La polemica di Marx con il cittadino Weston verteva proprio su questo. Non è vero, diceva Marx, che l’aumento dei salari fa aumentare i prezzi: fa diminuire i profitti a prezzi costanti. Questa tesi è stata vera a lungo, fino a che le imprese capitalistiche non hanno avuto sufficiente potere di mercato e politico. In un capitalismo monopolistico, invece, in cui esistono genericamente delle imprese che possiedono un potere di mercato, ossia che sono in grado di imporre i propri prezzi, e un potere politico, ossia che sono in grado di influenzare l’offerta di moneta, questa proposizione non è più vera. Qui un incremento di salario monetario che vada al di là dell’incremento della produttività reale del lavoro scatena un meccanismo di incremento generalizzato dei prezzi rispetto al salario, che è reso possibile, appunto, dal fatto che le imprese hanno un potere di mercato, ossia amministrano i prezzi, e dal fatto che la condizione monetaria dell’inflazione, ossia l’offerta di moneta, va incontro a queste esigenze. A questo punto è vero che l’incremento del salario determina l’aumento dei prezzi. Il profitto viene difeso. Questa è una fase, diciamo così, intermedia tra quella classica e quella attuale, ossia una fase in cui si può dire che l’inflazione è un meccanismo di ricostituzione dei profitti di fronte a incrementi salariali di una certa entità. Per quanto riguarda questa fase, risponderei con Marshall che siamo di fronte a una forbice di cui è difficile dire quale delle due lame effettivamente tagli, perché tagliano tutt’e due, ovviamente. Arriviamo infine alla fase attuale, in c’è una difesa automatica, almeno entro certi limiti, del potere d’acquisto del salario attraverso la scala mobile. In questo caso l’inflazione non serve più neanche come strumento di ricostituzione dei profitti, perchè non appena i prezzi aumentano il salario monetario aumenta, il profitto viene difeso sulla base del potere monetario e della politica monetaria, e quindi il salario monetario viene svalutato e il salario reale torna al livello di partenza. A questo punto, però, siccome i prezzi sono aumentati, si inserisce il meccanismo della scala mobile (nella misura in cui copre l’aumento dei prezzi) e allora quella ricostituzione dei profitti non avviene più perché il salario monetario torna ad aumentare per conto suo. Si instaura così la cosiddetta spirale dei prezzi, che agisce anche al di fuori dei contenuti contrattuali che vengono realizzati di volta in volta” [Claudio Napoleoni, intervistato da Lapo Berti, 100 domande e 100 risposte sull’economia, 1982]