“Il Labriola è stato il maggiore e più profondo interprete e ripensatore, staremmo a dire “traduttore” (nel senso gramsciano del tradurre) del pensiero di Marx e di Engels in termini non solo di lingua in senso stretto della parola, ma di cultura e storia italiane, e insieme uno dei più genuini intepreti del marxismo nell’Europa del suo tempo, come è testimoniato dall’interesse del Plechanov e del Sorel, ma soprattutto di Lenin: ben più autentico del “filisteo” Kautsky, per citare solo uno dei nomi allora più celebrati, e ora non certo famoso per penetrazione critica e filosofica, neppure fra i suoi più interessati apologeti. Il Labriola ha veduto e dichiarato per primo, mentre ci si avviava al revisionismo, che la filosofia della prassi, o metodo genetico, come egli ha preferito chiamarlo per un certo tempo, o insomma il “marxismo” è autosufficiente (Gramsci), cioè è indipendente dalle altre correnti filosofiche, il che non vuol dire, ci sembra ovvio, che sia fuori della storia del pensiero e senza nessi con la filosofia, per esempio hegeliana o neohegeliana, ma anzi che opera una delle rivoluzioni di quella storia, e, soprattutto, “ha in sé gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da intepretazione della storia filosofia generale. Così egli ha cercato di costruire scientificamente, cioè interpretare, intendere, svolgere con rigore critico, la filosofia della prassi, fra i momenti fondamentali della cultura moderna”. ” [Delio Cantimori, Studi di storia. Volume terzo. Critici, rivoluzionari, utopisti e riformatori sociali. Commenti, letture, aporie, 1976]