‘Marx nell’ottobre 1853 scrive a Engels: “il problema difficile” è che “sul continente (europeo) la rivoluzione è alle soglie e prenderà immediatamente un carattere socialista”. E gli chiede: “Non dovrà (la rivoluzione) essere schiacciata in quest’angolo del mondo, visto che, su un’area molto più vasta, il moto della società borghese è tutt’ora ascendente?”‘ (pag 165) (…) ‘Il fallimento di oggi si può ripetere anche domani. Bisogna, allora trasformarlo in un rinvio, assicurare all’esercito dei rivoluzionari come certo e immancabile. È lo stesso Marx a rivelarlo in una lettera a Ferdinand Domela Nieuwenhuis del 22 febbraio 1881: “Il sogno della prossima fine del mondo ha infuso speranza ai primi cristiani, dando loro la certezza della vittoria”, sicché “la comprensione scientifica dell’inevitabile sgretolarsi dell’ordine sociale (…) ci è garanzia sufficiente (…) dello scoppio della rivoluzione”‘ (pag 165) (…) ‘Kautsky introduce una nuova variabile: la borghesia mondiale non rappresenta più un blocco monolitico. La crisi del sistema genera delle lotte interne allo schieramento borghese: il principio nazionale prevale su quello proprietario’ (pag 167) (…) ‘Lenin al pari di Kautsky individua nell’espansionismo l’ultima fase del capitalismo. Ma come è testimoniato dalla polemica giovanile nei confronti dei populisti russi e dalla stroncatura rivolta all’ ‘Accumulazione del capitale’ della Luxemburg, non crede nella teoria della crisi. Ogni attesa è quindi inutile. L’imperialismo diviene l’esclusivo momento della mobilitazione armata, il preludio, la “vigilia della rivoluzione socialista”. È l’ultima tappa del capitalismo non a causa dal crollo economico, che egli a fini propagandistici e da perfetto erede di Marx non esita a sottoscrivere, ma per effetto dell’impresa rivoluzionaria, vissuta come guerra totale e santa’ (pag 167) [Lorenzo Infantino, ‘Imperialismo’ (Enciclopedia), Mondo Operaio, n. 10, ottobre 1986]