“Il capitalismo durante la sua esistenza ha attraversato molte crisi difficili. Appartiene all’essenza del capitalismo che il suo equilibrio sia labile, la sua labilità incessante. Nei periodi dell’apparente equilibrio si sviluppano ininterrotti gli elementi della contraddizione, finché questa non viene a risolversi potentemente in una crisi e l’equilibrio viene poi restaurato momentaneamente. “Le crisi sono soltanto momentaneamente potenti risoluzioni delle contraddizioni esistenti, eruzioni possenti che instaurano di nuovo per un attimo l’equilibrio perturbato” (Marx, Il Capitale, 1. III, parte I, pag. 231). La differenza fondamentale e sul piano storico mondiale fra tutte le crisi precedenti del capitalismo e quella crisi che rappresenta la guerra mondiale, consiste nel fatto che le crisi passate ricostituirono l’equilibrio del sistema capitalista almeno momentaneamente, la risoluzione della contraddizione, anche se potentemente e fra pesanti convulsioni, avvenne però all’interno dello spazio del sistema capitalistico, questa crisi portò alla rottura del sistema stesso, alla realizzazione della dittatura del proletariato in uno dei più grandi stati del mondo. Il capitalismo odierno non è più soltanto un “capitalismo morente”, ma in parte un capitalismo morto (1).” [Eugen Varga, La crisi del capitalismo e le sue conseguenze economiche, 1972]; “(1) W. Sombart, uno dei più profondi conoscitori borghesi del capitalismo, scrive nell’introduzione al suo libro “Capitalismo ad alto sviluppo nel 1927”, col suo tipico stile: “Chi segua attentamente lo sviluppo della guerra non può nutrire dubbi sul fatto che il capitalismo è entrato in un’epoca tranquilla, certamente non ancora affatto della senilità, ma della “maturità”. Il tempo dell’età umana più energica è giunto: sono cominciati gli ultimi “quarant’anni””