“Presso tutti i popoli antichi l’accumulazione di oro e argento si presenta originariamente come privilegio sacerdotale e reale, giacché il dio e il re delle merci si addice soltanto a chi è dio e re. Soltanto essi sono degni di possedere la ricchezza in quanto tale. L’accumulazione serve poi da un lato soltanto ad ostentare l’abbondanza, ossia la ricchezza come cosa straordinaria, da occasioni festive; inoltre come offerta ai templi e ai loro dei; poi ancora per opere d’arte pubbliche; infine, come mezzo di riserva nel caso di necessità straordinarie, per acquisto di armi ecc. Più tardi l’accumulazione presso gli antichi diventa una politica. Il tesoro pubblico come fondo di riserva, e il tempio, sono le primitive banche in cui si conserva il santissimo. L’accumulazione raggiunge il suo sviluppo massimo nelle moderne banche, naturalmente con determinazioni ancor più sviluppate. D’altra parte nei privati questa accumulazione assume la più schietta forma di assicurazione della ricchezza di fronte alle mutevoli vicende del mondo esterno, quella cioè del sotterramento, acquistando così un rapporto veramente segreto con l’individuo. Questo fenomeno è ancora storicamente riscontrabile su vasta scala in Asia, e si ripete in tutti i periodi di panico e di guerra nella società borghese, la quale allora ricade in condizioni barbariche. Lo stesso vale per l’accumulazione di oro ecc., sotto forma di gioielli e di oggetti preziosi, presso i popoli semibarbarici. Ma una parte ben più grande e sempre più crescente di oro in forma di oggetti di lusso viene sottratta alla circolazione al livello più sviluppato della società borghese (vedi Jacob ecc.)” (Cfr. W. Jacob, An Historical Inquiry, vol II, pp. 271-323)”. [Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Volume primo, 1968]