“Sì, lo ammetto, nel 1843, proprio all’inizio di ‘Per la critica della filosofia del diritto di Hegel’, Marx ha detto proprio così: “La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo”. Come non vedere subito quanta umana comprensione vi traspare per quell’accorato sospiro e sentimento di chi cerca in un mondo ideale un risarcimento contro il male del mondo reale? Ma devo subito spiegare come e perché e in quale contesto Marx usasse quella espressione. Era allora avvenuto che nel trattato di pace di Nanchino, del 29 agosto 1842, l’Inghilterra aveva imposto alla Cina l’importazione dell’oppio prodotto in India: serviva come merce di scambio per acquistare tè e i raffinati prodotti dell’artigianato cinese. Uno dei tanti meriti del secolare e cristianissimo colonialismo europeo nei confronti del resto del mondo. Chi accusa Marx per quella frase, lo sappia o no, non difende la religione, ma quel trattato infame.  Aggiungerò che qui Marx prendeva lo spunto da Balzac, un autore da lui ammiratissimo come specchio della borghesia capitalistica in ascesa, che aveva parlato del lotto come “oppio della miseria”. Cosa ben nota, sulla quale tornò, dopo Croce, anche Gramsci (…)”. [Mario Alighiero Manacorda, Perchè non posso non dirmi comunista. Una grande utopia non può morire, 2003]