“Negli scritti giovanili di Marx (“Il problema ebraico”) la subordinazione dello Stato al capitalismo è vista da Marx in termini ancora in parte idealistici: l’analisi delle Costituzioni delle rivoluzioni francese e americana – egli sostiene – dimostra che “la vita politica è un semplice mezzo, mentre il fine rimane la vita della società borghese”, che “l’intera società esiste solo per questo: per garantire ad ognuno dei suoi membri la conservazione della persona, dei diritti e della proprietà”. Questo passo è importante perché chiarisce  in che senso Marx parla di Stato di classe: non in quanto direttamente asservito ai gruppi economici (che tra l’altro allora non avevano la potenza che hanno oggi), ma al contrario, in quanto Stato separato, distinto dalla società civile e dalle forze economiche, garante della conservazione della società liberale e delle sue caratteristiche fondamentali, tra le quali il meccanismo capitalistico di produzione, il diritto di proprietà, la libertà di compravendita della forza-lavoro etc.. In lavori successivi, ed in termini più “materialistici”, Marx afferma che “La legislazione, tanto politica che civile, non fa che pronunciare, verbalizzare il volere dei rapporti sociali” (‘La miseria della filosofia’); che, come la legislazione, anche le altre attività statali, giudiziarie, fiscali, ecc. sono attività di classe, rivolte in ultima istanza a servire gli interessi delle classi dominanti. Engels ribadisce che lo Stato “non è che una macchina per l’oppressione di una classe per mezzo di un’altra e ciò nella Repubblica democratica non meno che nella monarchia” (Introduzione alla ‘Guerra civile in Francia’ di Marx), che esso “qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalista, uno Stato di capitalisti, il capitalista collettivo ideale”. (L'”Antidühring”)”. [Giuseppe Tamburrano] [in Giuseppe Tamburrano Antonio Landolfi Giorgio Galli Luciano Vernetti, ‘Bilancio del marxismo’, 1965]