“Ma la nascita, l’affermazione e la vittoria del comunismo sono esse stesse storicamente condizionate dallo sviluppo economico. Il comunismo non può essere un astratto ‘dover essere’, un ideale, un’utopia, che si contrapponga alla realtà storica e pretenda di volgerla nella sua direzione. Marx ha energicamente affermato che la classe operaia “non ha da realizzare nessun ideale” (‘La guerra civile in Francia’, trad.it, Roma, 1902, p. 47). E nel ‘Manifesto del partito comunista’ aveva detto: “Gli enunciati teorici dei comunisti non riposano affatto sulle idee o principii che siano stati inventati o scoperti da questo o quest’altro riformatore del mondo. Essi non sono che espressioni generali dei rapporti effettivi di una già esistente lotta di classe, di un moto storico che si va svolgendo sotto i nostri occhi”. La fine della società capitalistica e l’avvento del comunismo saranno dovuti allo sviluppo inevitabile della stessa economia capitalistica; la quale, mentre da un lato è incapace di assicurare l’esistenza dei lavoratori salariati, di cui pure non può fare a meno, dall’altro unisce i lavoratori stessi nella grande industria e ne fa una forza destinata a distruggerla. La borghesia stessa produce i suoi propri becchini”” [Nicola Abbagnano, Storia della filosofia. Volume secondo, parte seconda. Filosofia del romanticismo. Filosofia contemporanea, 1950]