“In un primo tempo si ritenne che la rivoluzione era destinata al fallimento. Sin dalla prima metà del 1918 Kautsky (‘La dittatura del proletariato’) ipotizzò infatti l’avvento di uno Stato controrivoluzionario contadino – una Vandea asiatica reazionaria ed antimoderna – che avrebbe probabilmente rovesciato gli stessi bolscevichi. Né la Nep del 1921 fece mutare parere. La Nuova Politica Economica, anzi – i menscevichi non esitarono a parlare di «Termidoro» e anche di «Autotermidoro» -, sembrò una conferma del fatto che la violenza, per Marx semplice levatrice e non creatrice, non sono non era in grado di produrre mutamenti sociali su un terreno immaturo, ma poteva anche condurre, oltre che al dispotismo, a forme sociali primitive e «regressive». Lo stesso Lenin, d’altra parte, in un opuscolo del 1918 sull’economia russa contemporanea, poi ripreso tale e quale nel 1921 (‘Ancora sull’imposta in natura’), aveva sostenuto che il capitalismo di Stato, se in grado di affermarsi in tempi ragionevolmente brevi, sarebbe stato un immenso successo per la repubblica dei Soviet. Avrebbe infatti consentito di superare la prevalente economia contadina patriarcale fondata sull’autoconsumo, la piccola produzione mercantile (anch’essa principalmente rurale) e l’esiguo capitalismo privato. Il processo scaturito dall’Ottobre era dunque ‘politicamente’ proletario e socialista, ma ‘strutturalmente’ incamminato verso il capitalismo di Stato, formazione economico-sociale di cui l’esempio più probante era fornito dall’economia di guerra tedesca. In Russia, tuttavia, secondo il Lenin del 1918, oltre al potere politico nelle mani degli operai e dei contadini poveri, vi erano anche piccoli e non meglio specificati elementi di socialismo. Non concorreva certamente a formare questi elementi il cosiddetto «comunismo di guerra», forma economica primitiva fondata sulle requisizioni forzate nel periodo della duplice guerra civile tra rossi e bianchi, da una parte, e tra città e campagna dall’altra. Nessuno, infatti, neppure l’allora «comunista di sinistra» Bucharin, propose poi il «comunismo di guerra», a guerra civile conclusa e a Nep iniziata, come modello da cui partire per arrivare a una società socialista matura. Con il termine «capitalismo di Stato», e quindi con Lenin, polemizzò poi, con un discorso tenuto al IV Congresso dell’Internazionale comunista (1922), Lev Trockij. Questi, inaugurando un’impostazione cui resterà fedele anche quando sarà all’opposizione e poi in esilio, riteneva infatti che la natura operaia non solo del potere politico conquistato dai bolscevichi, ma anche dello stesso Stato, non poteva non condizionare la stessa economia sovietica, la quale certamente non era socialistica, ma neppure capitalistica. Era la prima volta, questa, che, sia pure individuando una fase transitoria ed intermedia, veniva ipotizzata la possibilità di una realtà sociale certamente in evoluzione (come aveva ritenuto anche Lenin), ma «altra» rispetto al capitalismo (ivi compreso quello di Stato) e al socialismo” (pag 369-370) [Bruno Bongiovanni, ‘Le interpretazioni socialiste dell’Urss’, (in) Franco Sbarberi, a cura, ‘La forza dei bisogni e le ragioni della libertà. Il comunismo nella riflessione liberale e democratica del Novecento’, Diabasis edizioni, Reggio Emilia, 2008]
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- Articolo pubblicato:10 Marzo 2025