“Per caratterizzare il marxismo di Gramsci è necessario partire dal celebre articolo ‘La rivoluzione contro il «Capitale»’. Questo articolo, considerato alla luce dell’intero iter gramsciano, appare come un vero e proprio manifesto ideologico. In esso Gramsci fissò in modo assai preciso la chiave della sua interpretazione del marxismo. Esso non era solo una decisa presa di posizione e di rifiuto delle interpretazioni positivistiche del ‘Capitale’, del piatto economicismo, della pedanteria dei riformisti, e delle gherminelle ideologiche degli avversari (8); era qualcosa di più e di diverso: era una vera e propria petizione di principio su ciò che era vivo e ciò che era morto del marxismo alla luce di una determinata epoca storica, dei suoi compiti e dei traguardi culturali da essa raggiunti. Gramsci scriveva: la rivoluzione dei bolscevichi «è la rivoluzione contro il ‘Capitale’ di Carlo Marx. Il ‘Capitale’ di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari». Indubbiamente il significato ‘politico’ di una simile affermazione era che ‘Il capitale’ in Russia veniva di fatto utilizzato ideologicamente a fini riformistici. Ma detto questo rimane da chiarire se un simile uso fosse possibile ‘grazie’ o ‘contro’ ‘Il Capitale’. Ora tutto il significato dell’articolo di Gramsci è che questo avveniva nella fedeltà a certe generalizzazioni contenute nel ‘Capitale’. La conclusione di Gramsci era questa: che quanto era avvenuto in Russia dimostrava «che i canoni del materialismo storico non sono così ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato». Ma che cosa esattamente era stato negato del ‘Capitale’ e dei canoni del materialismo storico? Nel caso specifico i canoni del materialismo storico si esprimevano nella «dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il prolatriato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione (9)». È probabile che Gramsci stabilisse un collegamento fra le posizioni pratiche mensceviche e riformiste e la loro giustificazione teorica contenuta in una ben individuabile pagina della Prefazione alla prima edizione del ‘Capitale’, in cui Marx scrive: «Il fisico osserva i processi naturali nel luogo dove essi si presentano nella forma più definita e meno offuscata da influssi perturbatori (…). In quest’opera debbo indagare il ‘modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio’ che gli corrispondono. Fino a questo momento, loro sede classica è l’ ‘Inghilterra’. Per questa ragone è l’Inghilterra principalmente che serve a illustrare lo svolgimento dela mia teoria»; continua asserendo che, in conseguenza delle leggi e delle tendenze che operano nel campo della produzione capitalistica «con bronzea necessità», «il paese industrialmente più sviluppato non fa che mostrare a quello meno sviluppato l’immagine del suo avvenire» (10); e conclude con la celebre sentenza, che ha costituito il pezzo forte della concezione meccanica e fatalista della II Internazionale: «Anche quando una società è riuscita a intravvedere ‘la legge di natura del proprio movimento (…) non può né saltare né elimiare per decreto le fasi naturali dello svolgimento (…). Il mio punto di vista (…) concepisce lo ‘sviluppo della formazione economica della società’ come ‘processo di storia naturale’» (11)” (pag 220-221) [Massimo L. Salvadori, Gramsci e il problema storico della democrazia’, Viella, Roma, 2007] [(8) P. Togliatti, ‘Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci’, in ‘Studi gramsciani’, p. 23; (9) SG, p. 150; (10) K. Marx, ‘Il capitale’, libro I, I, Editori Riuniti, Roma, 1954, p. 16; (11) Ibidem, p. 18]