“Per più di un anno, [Venturi] lesse di tutto (libri di storia, di economia, di filosofia) senza un programma preciso, ma solo per assimilare i risultati raggiunti dalla cultura sovietica nei vari campi delle scienze umane. Continuò anche a cercare in Russia documenti e libri utili per gli amici italiani, in particolare per Alessandro Galante Garrone, i cui studi su Buonarroti e sui giacobini egli seguiva con vivissimo interesse. Era stato Venturi a incoraggiare il giovane magistrato a farsi storico e ad approfondire le ricerche sul rivoluzionario toscano, al quale anch’egli s’era appassionato negli anni dell’esilio parigino (26). Quando, alla fine dell’estate 1947, uscì in Italia l’articolo belfagoriano di Galante Garrone (27), Venturi lo ricevé e, dopo averlo letto, ne discusse a lungo con l’amico lontano scrivendogli il 21 novembre 1947. Di questa missiva a noi può qui interessare soprattutto il cenno a Marx, per la lettura che vien suggerita dell’opera storica del filosofo di Treviri. Parlando dell’influenza della buonarrotiana ‘Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf’ sulla successiva storiografia, Galante Garrone aveva voluto fortemente ridimensionare le vedute di Marx ed Engels sulla Rivoluzione francese: «La verità è che i giudizi storici di Marx e dello Engels sono stati assai sopravvalutati; che lo stesso Marx, nonstante certe momentanee velleità, non ebbe mai né la preparazione né l’abito mentale né un serio continuato proposito di scrivere la storia della convenzione o della rivoluzione francese. Il suo atteggiamento di fronte a questa non era molto dissimile, nonostante la distanza nel tempo, da quello del Babeuf: anch’egli si sentiva, in fondo, più ‘révolutionnaire’ che ‘historien’. Le memorie della rivoluzione dovevano servirgli come guida all’azione, come strumento di lotta. Il piano concepito a Parigi di una storia della convenzione, allargatosi a quello di una storia della rivoluzione francese come storia delle origini dello stato moderno, si sarebbe ancora ampliato di lì a poco, a Bruxelles, nel piano di una storia delle origini dello stato borghese. Ma non ne fece mai nulla. Troppo urgava in lui la passione politica, la necessità di un programma immediato, di una sistemazione ideologica. Gli apprezzamenti storici del Marx muovono da fini pratici, da intenti politici: costituiscono, come molta parte di quella letteratura che ad essi si è scolasticamente ispirata e confermata, “storiografia di partito”, già luminosamente chiarita nella sua essenza dal Croce» (28). Venturi impugnò, con garbo, l’inappellabile sentenza dell’amico: «Quanto a Marx, sei proprio sicuro che la sua sia tutta storiografia di partito? Se non scrisse una storia delle origini dello stato moderno, scrisse però il ‘Capitale’, che è pure anche una storia». La simpatia mostrata in quegli anni da Venturi per Marx è da metter in relazione, senza dubbio, con la sua passione per la storia sociale. Si può anzi dire che quest’ultima disciplina occupava allora, assieme alla storia della storiografia, un posto eminente e prepotente negl’interessi e nei progetti di lavoro del giovane Venturi” (pag 322-323) [Ettore Cinnella, ‘Franco Venturi storico del populismo russo’, (in) ‘Il coraggio della ragione. Franco Venturi intellettuale e storico cosmopolita. Atti del Convegno internazionale di studi (Torino, 12-13-14 dicembre 1996), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1998] [(26) Da una lettera a Croce del 24 ottobre 1937 (riprodotta in appendice all’articolo sopra ricordato di Edoardo Tortarolo, pp. 39-40) risulta che Venturi intendeva «pubblicare una specie di antologia degli scritti di Buonarroti (scegliendo di preferenza gli inediti) con una prefazione relativamente breve»; (27) A. Galante Garrone, ‘Filippo Buonarroti e l’apologia del Terrore’, ‘Belfagor’, II, n. 5, 1947, pp. 531-551; (28) Ivi. p. 546]