“Il rapporto uomo-donna fu affrontato per la prima volta organicamente da Marx (4), nei ‘Manoscritti economico-filosofici’ del 1844. Precedentemente Marx aveva condiviso con Hegel (1770-1831) il principio dell’essenza spirituale del matrimonio, scrivendone sulla ‘Rheinische Zeitung’ (Gazzetta renana) fra il 1842 e il 1843. Ma dall’affermazione hegeliana che «tutti i rapporti morali secondo il loro concetto sono indissolubili», Marx non traeva eguali conclusioni per il matrimonio. Già nel ‘Progetto di legge sul divorzio’, apparso nella ‘Gazzetta renana’ del 19 dicembre 1842, egli anticipò alcuni momenti della successiva polemica con Hegel sulla famiglia, sostenendo che «un vero stato, un vero matrimonio, una vera amicizia sono indissolubili, ma nessuno stato, nessun matrimonio, nessuna amicizia corrispondono interamente al loro concetto; e come un’amicizia reale può rompersi perfino nella famiglia, come lo può uno stato reale nella storia mondiale, così lo può il matrimonio reale nello stato». In ‘La critica della filosofia hegeliana’ (1843), Marx evidenziò i legami della famiglia con lo stato, la società civile e la proprietà privata. Con questo confronto erano già poste le premesse di quella concezione della questione femminile che Marx espresse in altre opere, in antitesi con l’Hegel dei ‘Lineamenti di filosofia del diritto’ (1820). Hegel definiva la famiglia come un sistema di doveri e relazioni al cui interno la formazione e la distribuzione dei ruoli femminili e maschili era sottratta alla determinazione naturale, per esser assegnata alla «seconda natura»: il mondo dello spirito realizzantesi. La conseguenza per la donna era che essa non poteva in alcun modo affermare se stessa come individuo autonomo, poiché all’uomo era riservata la sfera pubblica: «Essendo l’uomo nel rapporto verso l’esterno il potente e il fattivo mentre l’altra è il passivo e il soggettivo (…), l’uomo ha la sia vita affettiva, sostanzialmente nello stato, la scienza, ecc., …, nella famiglia la donna ha la sua determinazione sostanziale, e, in questa pietà ha il suo carattere etico…, le donne sono in grado di essere istruite, ma non sono fatte per attività che richiedono facoltà universali, come le scienze più avanzate». Tale concezione, palesemente limitativa della personalità femminile, non dev’essere messa in connessione con presunte posizioni tradizionaliste di Hegel bensì con i fondamenti della sua riflessione filosofica. Pertanto Marx, anteponendosi all’idealismo e alle tesi hegeliane sulla famiglia, compiva il primo passo verso la sua teoria sull’emancipazione femminile, che iniziò a esporre a partire dai ‘Manoscritti economico-filosofici’. Marx si oppose esplicitamente alle formulazioni astratte sulla questione femminile in base alle quali erano avanzate soluzioni a suo giudizio erronee: quelle di certo comunismo «rozzo», che aveva prospettato la sostituzione del matrimonio con la «comunanza delle donne». Commentava Marx in proposito: «La donna diventa proprietà della comunità, una proprietà comune». Ripreso esplicitamente da Fourier il collegamento fra condizione femminile e e sviluppo sociale nella ‘Sacra famiglia’ (1845), l’argomento fondamentale era, nei ‘Manoscritti’, quello dell’alienazione, di cui il rapporto uomo-donna era, secondo Marx, un aspetto paradigmatico. Scriveva: «Dal carattere di questo rapporto si ricava sino a qual punto l’uomo come essere appartenente a una specie si sia fatto uomo e si sia compreso come uomo; il rapporto del maschio con la femmina è il più naturale dei rapporti che abbiano luogo tra uomo e uomo. In esso si mostra sino a che punto il comportamento naturale dell’uomo sia diventato umano oppure sino a che punto l’essenza umana sia diventata per lui naturale, e la sua natura sia diventata per lui natura». Marx, insieme a Engels (1820-1895), dimostrò in più occasioni di non condividere i pregiudizi sulla natura femminile contestando ai borghesi la definizione delle donne come «semplici strumenti di produzione»; così nel ‘Manifesto del partito comunista’ (1848). I due pensatori esaminarono la condizione di sfruttamento dell’operaia nel capitalismo e, ciononostante, sostennero l’importanza che anche la donna lavorasse, acquisendo consapevolezza di sé e diventando soggetto rivoluzionario, alla pari dell’uomo. Anzi Marx nel ‘Capitale’ (1867), riferendosi all’avvenire socialista, affermò che «la composizione del personale operaio combinato con individui d’ambo i sessi e delle età più differenti» sarebbe stato «fonte di sviluppo di qualità umana»” (pag 42-44) [Aurelia Camparini, ‘Donna, donne e femminismo. Il dibattito politico internazionale’, Franco Angeli, Milano, 1987, cap. 3. Da Marx a Bebel] [(4) Per Marx cfr. nel vol. II de “Il pensiero politico contemporaneo, Angeli, Milano, il saggio di G.M. Bravo]