“Nel ‘Manifesto’ – osserva Lenin, «sono riassunti i risultati generali della storia, che ci costringono a vedere nello Stato un organo della egemonia di classe, e ci fanno giungere alla necessaria conclusione che il proletariato non può far cadere la borghesia senza aver prima conquistato il potere politico, senza avere raggiunto il potere politico e senza avere trasformato lo Stato nel “proletariato organizzato come classe dominante”, e che questo stato proletario comincerà a morire subito dopo la sua vittoria, poiché in uno Stato senza antagonismi di classe lo Stato non è necessario, né possibile». Non viene posta la questione del come debba avvenire, – considerando la cosa dal punto di vista dello svolgimento storico, – questo subentrare dello Stato proletario allo stato borghese. E, più sopra: nel ‘Manifesto’ «la questione dello Stato viene trattata ancora in maniera estremamente astratta, in concetti e con espressioni generalissime» (1). Il che naturalmente non vuol dire che non vi sia indicato il problema della «dittatura del proletariato», nella frase: «lo Stato, cioè il proletariato organizzato come classe dominante». Marx ha affrontato questo problema, che è quello della lotta poliitica del proletariato e del nuovo partito, nel ‘Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte’ e nelle ‘Lotte di classe in Francia dove esamina i risultati di quegli anni di azione rivoluzionaria e di fallimento delle speranze rivoluzionarie” (pag 47) [dall’introduzione di Emma Cantimori Mezzomonti, al ‘Manifesto del Partito Comunista’, di Karl Marx e Friedrich Engels, Einaudi, Torino, 1953] [(1) Lenin, ‘Stato e rivoluzione’, ed. tedesca, Mosca, 1947, pp. 26 sgg.]
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- Articolo pubblicato:13 Settembre 2024