‘Per Marx, un modo di produzione, è un’unità tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Questo è quanto ha ricordato Althusser per il quale con la sua scoperta del modo di produzione, Marx ha aperto “il continente Storia” alla conoscenza scientifica, e ha gettato le basi di una teoria che costituisce il fondamento di tutte le scienze umane, dalla sociologia alla psicologia e ad ogni altra scienza che si occupa della società e dell’uomo (Althusser, 1969 e 1995, p. 23) (4). Con questa sua scoperta, si deve dire, Marx ha negato valore al concetto di società, che è un concetto non scientifico, ideologico. Nella visione di Marx, ogni formazione sociale concreta dipende soprattutto dal modo di produzione dominante di cui fa parte; ma rilevanti sono anche i modi di produzioni non dominanti, di cui vi è una persistenza, il modo di produzione del passato, non ancora scomparso del tutto, e il modo di produzione del futuro, che sia già cominciato a nascere all’interno della vecchia società. Così, quando si dice che i rapporti di produzione non corrispondono più alle forze produttive esistenti, e si prevede da ciò l’avvento di un nuovo modo di produzione, si vuol dire che la formazione sociale esistente è in una fase di transizione, perché lo sviluppo delle forze produttive sta rendendo superato il modo di produzione esistente. Le forze produttive sono la base materiale dei modi di produzione ma esse non possono funzionare che sotto i loro rapporti di produzione; il che vuol dire che, sulla base delle forze produttive esistenti, sono i rapporti di produzione che hanno il il ruolo determinante (Althusser, 1969 e 1995, p. 26; cfr anche p. 28); una tesi questa, a giudizio di Althusser, che non sempre è stata riconosciuta dai marxisti (ibid.) Quanto detto ci consente di argomentare che la definizione corretta di rivoluzione, dal punto di vista della teoria economica e della teoria politica, è il cambiamento del modo di produzione (cfr. anche, ad es., , Kangrga, 1970, pp. 80-81). Eppure, diffusa è l’opinione secondo cui «noi non sappiamo più che cosa significhi una rivoluzione» (cfr. Holloway, 2002, p. 215) o che per rivoluzione si debba intendere un cambiamento violento della situazione esistente (5). Il concetto di rivoluzione come cambiamento del modo di produzione, si badi, è così centrale nel pensiero di Marx che bisogna dire che «il marxismo è la teoria della rivoluzione» (Lukács, 1922, p. 320) e che, quindi, a) il criterio di verifica del marxismo sta nella possibilità di realizzazione del socialismo (cfr. Panaccione, 1974, p. 4) e b) può essere considerato marxista solo colui che crede nella possibilità di realizzare il socialismo (un socialismo che sia in armonia con il pensiero di Marx) (6). Laddove chi non crede nella rivoluzione non può in nessun modo essere considerato marxista (7). Può una rivoluzione essere realizzata pacificamente? Marx ed Engels hanno chiarito in molte occasioni che una rivoluzione si può attuare democraticamente per via parlamentare. A riguardo conviene partire con il ricordare che per Marx ed Engels la proprietà delle imprese deve esser tolta ai capitalisti a poco a poco. In uno scritto del 1847 Engels ha scritto: «la rivoluzione proletaria, che con ogni probabilità sta per avverarsi, potrà trasformare la società attuale a poco a poco, e potrà abolire la proprietà privata solo quando sarà creata la massa dei mezzi di produzione a ciò necessaria» (Engels, 1847a, p. 370); cfr. anche Engels, 1847b, p. 101). E in un celebre passo del ‘Manifesto’, analogamente, la transizione al socialismo viene descritto come un processo lento, da realizzarsi attraverso i seguenti dieci provvedimenti (cfr. Marx ed Engels, 1848, pp. 312-313): – espropriazione della proprietà fondiaria; – introduzione di imposte fortemente progressive; abolizione del diritto di eredità; confisca della proprietà dei ribelli e degli emigrati; accentramento del credito nelle mani dello Stato; accentramento dei trasporti nelle mani dello Stato; – aumento delle fabbriche nazionali e dissodamento e miglioramento dei terreni; obbligo di lavoro per tutti; eliminazione dell’antagonismo tra città e campagna; educazione pubblica e gratuita per tutti. (…) Nei ‘Principi del comunismo’ Engels chiarisce che, una volta andati al potere, i lavoratori instaureranno una costituzione democratiche e che la democrazia sarebbe del tutto inutile al proletariato se non venisse subito usata quale mezzo per ottenere misure ad esso vantaggiose (Engels, 1847a, pp. 370-71); ma la conclusione di Engels sul passaggio democratico al socialismo è la seguente (1891b, p.174): «Si può immaginare che la vecchia società possa svilupparsi nella nuova per via pacifica, in paesi nei quali la rappresentanza popolare ha concentrato in sé tutto il potere, dove la Costituzione consente di fare ciò che si vuole quando si abbia dietro la maggioranza del popolo, in repubbliche democratiche come la Francia e l’America, in monarchie come l’Inghilterra» (6). Anche Marx si è espresso più volte in favore di una transizione pacifica al comunismo. Nel ‘Manifesto’ la conquista del suffragio universale viene vista come uno dei principali compiti del proletariato; e vi è chi argomenta che già in quell’opera «la vittoria del proletariato è fatta coincidere con la vittoria nella battaglia per la democrazia» (Avineri, 1968, p. 266). Engels nell’opera del 1891 già citata fa riferimento all’affermazione del ‘Manifesto’ secondo la quale il primo passo nella rivoluzione operaia è «l’elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia» (Marx ed Engels, 1848, p. 312), un’affermazione questa che, nella visione di Marx ed Engels, viene a dire che il suffragio universale, quando fa sì che il proletariato diventi classe dominante, porta inevitabilmente al socialismo. In ‘Le lotte di classe in Francia’ (Marx, 1848-50, p. 81) si legge: «l’ironia della sorte capovolge ogni cosa. Noi, i “rivoluzionari” i “sovversivi” prosperiamo molto meglio con i mezzi legali che con i mezzi illegali, la sommossa». Nel ‘Capitale’, poi, Marx dà gran peso alla legislazione sulle fabbriche e al ruolo in genere delle assemblee elette a suffragio universale e argomento per qualche centinaia di pagine che in parlamento, in varie occasioni, gli interessi operai avevano avuto la meglio sugli interessi dei padroni (cfr. Sidoti, 1987), p. 280). In uno scritto del 1872, poi, Marx così si esprime: «L’operaio un giorno dovrà prendere il potere politico per fondare la nuova organizzazione del lavoro (…) noi non abbiamo affatto preteso che per arrivare a questo scopo i mezzi fossero dappertutto identici. Sappiamo quale importanza abbiano le istituzioni, i costumi e le tradizioni dei vari paesi e non neghiamo che esistano dei paesi come l’Inghilterra, l’America e, se conoscono bene le vostre istituzioni, anche l’Olanda, in cui i lavoratori possono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici (cfr. Marx, 1972, p. 255). Delle citazioni di Marx ed Engels a riguardo la più rilevante ci sembra tuttavia, la seguente. Nel 1848 – scrive Engels nell’«Introduzione» alla prima ristampa delle ‘Lotte di classe in Francia’ – egli e Marx avevano presente l’esperienza delle rivoluzioni precedenti, soprattutto quelle della Francia del 1789 e del 1830, e da quell’esperienza furono influenzati. Ma la storia successiva, egli aggiunge, ha mostrato che la concezione di allora era sbagliata, perché le condizioni in cui il proletariato deve lottare sono radicalmente cambiate (9)” (pag 289-293)’ [Bruno Jossa, ‘L’economia politica della rivoluzione democratica’, ‘Politica economica’, rivista di studi e ricerche per la politica economica, Il Mulino, Bologna, n. 3, dicembre 2006] [(4) A giudizio di Aron, invece, i concetti di rapporti di produzione, classi sociali, contraddizioni e simili sono «equivoci» (cfr. Aron, 1969, p. 48); (5) «Il contrasto fra riforma e rivoluzione – scrive Kautsky (1902, p. 168) – non consiste nell’uso della forza in un caso e non nell’altro», anche se talora egli sembra dire l’opposto (cfr. Kautsky, 1892, pp. 65-70). L’essenza della rivoluzione, per Kautsky, «sta nella conquista del potere politico da parte di una nuova classe» (Kautsky, 1902, p. 169) (…); (6) Korsch ha scritto che possiamo caratterizzare tutte le deformazioni che il marxismo ha subito nel periodo della II Internazionale «con un’unica frase che sintetizza tutti gli aspetti della questione: la teoria globale unitaria della rivoluzione sociale è stata trasformata in una critica scientifica dell’ordinamento economico borghese e dello Stato borghese» (Korsch, 1923, p. 59); (7) In un noto lavoro di Holloway, che segue Lukàcs e Adorno, ha sostenuto che «il problema del concetto tradizionale di rivoluzione non è forse che esso mira troppo in alto, ma che esso mira troppo in basso (…) (Holloway, 2002, p. 20); (8) Engels, comunque, ha vivacemente protestato contro le interpretazioni del suo pensiero che volevano farlo apparire come «un pacifico sostenitore della legalità ‘quand même’ (cfr. la lettera a Kautsky del 1° aprile 1895); (9) Anche Kautsky ha scritto che uno dei più gravi errori dei marxisti è quello di immaginare che la rivoluzione proletaria debba seguire l’esempio delle vecchie rivoluzioni, di quella borghese in particolare (cfr. Kautsky, 1907, p. 2)]