“[Marx] Era purista, talvolta fino alla pedanteria. E il mio dialetto dell’Assia alta, cui rimanevo – o che mi rimaneva – tenacemente appiccicato, mi valse innumerevoli rabbuffi. Se racconto tali inezie, ciò avviene perché esse dimostrano come Marx si sentisse ‘maestro’ di fronte a noi «giovani». Questo suo sentimento si palesava naturalmente anche in altra maniera. Egli esigeva ‘molto’. Appena aveva scoperto una lacuna nelle nostre cognizioni, insisteva energicamente – dando i consigli necessari – perché venisse colmata. Quando ci si trovava con lui a quattr’occhi si subiva un esame in piena regola, e non erano esami da ridere. Non si poteva dargliela a bere. E quando si accorgeva che tutto era fatica sprecata, era finita ache l’amicizia. ‘Per noi’ era ‘un onore’ essere trattati da lui come «scolaretti». Non mi sono mai trovato insieme a lui senza apprendere… In quei tempi soltanto un’infima minoranza della classe operaia stessa si era elevata al socialismo; e tra gli stessi socialisti, i socialisti nel senso scientifico di Marx – nel senso del ‘Manifesto comunista’ non erano che una minoranza. La massa degli operai, in quanto si era in qualche modo svegliata alla vita politica, si muoveva tra le nebbie delle aspirazioni e delle frasi democratiche sentimentali, caratteristiche del movimento quarantottesco, del suo prologo e del suo epilogo. Il plauso delle masse, la popolarità costituivano per Marx la dimostrazione che si era sulla falsa strada, e una delle sue massime preferite era il fiero verso di Dante: ‘Segui il tuo corso e lascia dir le genti!’. Quante volte citò questo verso con cui termina anche la sua prefazione al ‘Capitale’. Nessuno è insensibile ai colpi, agli urti, alle punture delle cimici e delle zanzare, e quante volte Marx deve aver ripetuto a se stesso, nella solitudine del suo misero studio da autentico proletario, il detto del grande fiorentino, per farsi coraggio e per attingervi nuove forze, quando, continuando per la sua strada, veniva aggredito da tutte le parti, assillato da preoccupazioni per il pane quotidiano, non compreso dalla masse del popolo lavoratore per cui nel silenzio della notte forgiava le armi della lotta liberatrice, respinto talvolta sdegnosamente dalle masse che preferivano a lui i vuoti parolai, i traditori ipocriti e perfino i nemici palesi! Non si lasciò sconcertare. Dissimile al principe delle ‘Mille e una notte’, che si lasciò sfuggire la vittoria e il premio della vittoria perché non seppe resistere alla tentazione di guardarsi attorno e di voltarsi intimorito dal chiasso e dalle immagini paurose che lo circondavano, egli camminava dritto, l’occhio fisso in avanti sulla meta splendente, lasciava «dir le genti» e, «si fosse frantumato l’orbe terrestre», nulla lo avrebbe trattenuto dal proseguire la sua strada… Se odiava la popolarità, l’andare a caccia di popolarità suscitava in lui un sacro furore, Aborriva i parolai e guai a colui che indugiava in frasi. Per questi era inesorabile. «Frasaiolo» era in bocca al suo biasimo più severo, e chi era stato riconosciuto da lui come «frasaiolo» era spacciato per sempre. Pensare logicamente, esprimere chiaramente i pensieri: ecco ciò che inculcava in noi «giovani» ad ogni occasione, costringendoci a studiare” (pag 12-14) [Wilhelm Liebknecht, ‘Passeggiate con Marx’, Datanews, Roma, 1996]