“Molto tempo prima di lanciarsi all’assalto del potere, Lenin aveva riflettuto sul problema della presa dl potere, esponendo le sue concezioni generali in parecchi articoli e soprattutto, nel 1902, nel ‘Che fare?’, dove si è lungamente chiesto come lottare contro un potere autocratico che non lascia ai suoi cittadini alcuna possibilità di opposizione legale, come organizzare e sollevare delle masse operaie contro questo potere. Lenin vedeva chiaramente che le masse operaie russe, proletariato di fresca data affluito nei centri urbani, in seguito a un’industrializzazione nascente ma in rapida espansione, erano straordinariamente combattive e pronte ad accogliere ogni appello rivoluzionario (1), ma sapeva anche che «la storia di tutti i paesi conferma che la classe operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista… La coscienza politica di classe può essere apportata all’operaio solo dall’esterno» (2). «Il nostro compito» aggiungeva, «il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità, nell’allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a rifugiarsi sotto l’ala della borghesia; il nostro compito consiste nell’attirare il movimento operaio sotto l’ala della socialdemocrazia rivoluzionaria» (3). Chi poteva ispirare questa coscienza di classe al proletariato? Lenin puntò sulla gioventù rivoluzionaria che, armata della teoria socialdemocratica, nutriva il desiderio ardente di avvicinarsi agli operai (4). Questa gioventù, che in un primo tempo si era incarnata nella nobiltà, e poi nell’intellighenzia, dal 1825 in poi aveva lottato accanitamente a diverse riprese per rovesciare il potere. Disorganizzata, impegnata a discutere in circoli o comitati, essa era, diceva Lenin, inefficiente per «dilettantismo artigianale». Questo è il motivo per cui egli la invitava a rinunciare a tale dilettantismo, a unificarsi, a organizzarsi in un partito rivoluzionario; essa avrebbe allora potuto avere il ruolo che gli le assegnava a fianco della classe operaia. Tuttavia, per essere efficiente, un’organizzazione dev’essere ben centralizzata (5); e, nelle condizioni della lotta clandestina, essa dev’essere un’organizzazione di rivoluzionari di professione che costituisce «l’esercito permanente della rivoluzione». La formazione di quest’esercito era una condizione indispensabile per impegnarsi in un movimento rivoluzionario coerente, ma esso non poteva da solo fare la rivoluzione. Esso doveva guidare il proletariato, educarlo, ma nessuna rivoluzione era concepibile senza il sostegno e l’azione delle masse. Le masse alle quali Lenin si riferiva erano le masse urbane. Le esperienza fatte in precedenza da rivoluzionari come i populisti, che puntavano sull’immensa massa contadina russa, avevano dimostrato che la massa contadina non poteva essere sollevata contro il potere, perché all’occasione essa si sarebbe rivoltata contro coloro che rappresentavano obiettivamente i suoi interessi per consegnarli al potere ch’essi combattevano a suo nome. Tuttavia la rivoluzione del 1905 condusse Lenin a modificare le sue idee iniziali riguardo a due punti fondamentali: da una parte, essa aveva dimostrato che l’azione spontanea del proletariato urbano poteva essere interamente diretta verso la rivoluzione politica; dall’altra, il totale disinteresse delle masse contadine nei suoi confronti aveva dimostrato che nessuna rivoluzione era concepibile in Russia senza il minimo appoggio delle masse contadine, e che non ci si poteva per nulla basare sulle sole masse urbane, per quanto rivoluzionarie esse fossero. Per quasi vent’anni, Lenin lavorò instancabilmente a forgiare e organizzare uno strumento rivoluzionario che potesse un giorno guidare alla lotta la classe operaia russa (ch’egli in quel momento giudicava unica al mondo per le sue capacità di lotta e per il suo coraggio). Il suo partito era numericamente debole (6), radicato nelle città industriali e negli ambienti ferroviari, e là soltanto. Egli v’impose l’autorità, l’intransigenza, il settarismo di fronte agli altri gruppi politici, affinché esso non fosse contaminato da alcuna debolezza nell’ora decisiva della lotta per il potere. Ma lo strumento, e Lenin lo sapeva malgrado il suo volontarismo, non costituiva una condizione sufficiente per la rivoluzione; il problema fondamentale restava quello delle condizioni generali della Russia. Egli ne conosceva l’arretratezza economica, sapeva che «l’embrione del socialismo» che, secondo Marx, si sviluppa in seno alla società borghese, non vi sarebbe esistito per molto tempo; da internazionalista coerente, egli vedeva in una eventuale rivoluzione russa (forse favorita dall’arretratezza del paese, la quale non aveva permesso lo sviluppo dell’opportunismo operaio) solo la scintilla che avrebbe incendiato il mondo. Egli nel 1905 pensava che nella stessa Russia, la forma del potere avrebbe potuto essere «una dittatura rivoluzionaria e democratica degli operai e dei contadini», nell’ambito della quale in realtà egli accordava alla classe operaia un ruolo egemonico. Come intendesse i rapporti tra questa dittatura democratica e la rivoluzione socialista era meno chiaro, poiché egli pensava che, in quel momento, il peso della rivoluzione si sarebbe scaricato sulle società più avanzate che avrebbero aiutato la Russia a portare a termine il processo rivoluzionario. La rivoluzione del 1917 fu conforme a questa visione. Senza dubbio essa fu preparata nella sua fase finale – dall’aprile all’ottobre del 1917 – dal partito bolscevico, e nelle giornate decisive dell’ottobre, concepita e realizzata dal piccolo gruppo di rivoluzionari professionisti capeggiati da Lenin e da Trotzki. Essa partì dai due principali centri urbani del paese, Pietrogrado e Mosca, dove fu insediato in alcune giornate decisive il potere dei soviet. Tuttavia la realtà della rivoluzione russa è più complessa” [Hélène Carrère d’Encausse Stuart R. Schram, ‘L’URSS, la Cina e le rivoluzioni nei paesi sottosviluppati’, Milano, 1972] [(1) Lenin, «Cito delat», Socinenija, t. 6, pp. 1-192 (noi ci siamo riferiti dovunque alla V edizione di Lenin, ‘Polnoe sobranie socinenij’, citata sotto il titolo di ‘Socinenija’). Si può fare anche riferimento all’ottima edizione francese realizzata da Jean-Jacques Marie, ‘Que faire?’, Paris, Le Seuil, 1967. Le citazioni che seguono sono tratte da questa edizione; (2) Ibid., p. 134; (3) Ibid., p. 95; (4) Ibid., p. 86; (5) Lenin non nascondeva la sua ammirazione per le organizzazioni centralizzate della ‘Narodnaia Volja’ ecc. (Ibid., pp. 192 sgg); (6) Nel gennaio 1917 il calcolo ufficiale dell’effettivo del partito, prima che le organizzazioni insurrezionali uscissero dalla clandestinità, è di 23.600 membri; nel maggio, al tempo della VII conferenza Panrussa, di 79.204 membri; al VI congresso del POSDR, nell’agosto 1917, Sverdlov calcola a 200.000 membri la consistenza complessiva del partito. Cfr. Schapiro (L.), ‘De Lénine a Staline, Histoire du Parti communiste de l’Union Soviétique’, Paris, Gallimard, 1967, pp. 201-202] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]