“Le condizioni interne in Germania in quanto paese sconfitto sono le più favorevoli alla rivoluzione. La forza numerica e il ruolo economico del proletariato tedesco sono tali da consentire la vittoria della rivoluzione. È quindi del tutto naturale che i metodi di lotta applicati dal Partito comunista tedesco assumano un valore internazionale. A partire dal 1918 grandi avvenimenti della lotta rivoluzionaria si sono prodotti sul suolo tedesco e quindi vi si possono analizzare gli aspetti positivi e gli aspetti negativi di un’esperienza viva” (pag 248)
“Ogni seria azione di massa deve essere ovviamente preceduta da un’energica agitazione su larga scala, centrata su parole d’ordine per tale azione e concretata tutta sullo stesso punto. Una simile agitazione può portare a un più deciso appello all’azione solo se l’esperienza dimostra che le masse sono state profondamente toccate e sono pronte ad avanzare sulla via dell’azione rivoluzionaria. Questo è l’abc della strategia rivoluzionaria, ma proprio questo abc è stato completamente ignorato in occasione degli avvenimenti di marzo. Prima ancora che i battaglioni della polizia riuscissero a raggiungere le fabbriche e le miniere della Germania centrale, scoppiava effettivamente nella regione uno sciopero generale. Ho già detto che nella Germania centrale c’era una disponibilità a impegnarsi in una lotta immediata e l’appello del Comitato centrale aveva un’immediata risposta. Ma nel resto del paese prevaleva una situazione completamente diversa. Nessun elemento della situazione internazionale o della situazione interna tedesca giustificava un così brusco passaggio all’azione. Le masse semplicemente non comprendevano l’appello. Ciò nonostante, alcuni teorici molto influenti del Partito comunista tedesco, invece di riconoscere che l’appello era stato un errore, hanno cercato di giustificarlo escogitando la teoria secondo cui in un’epoca rivoluzionaria siamo costretti a condurre esclusivamente una politica aggressiva, cioè la politica dell’offensiva rivoluzionaria. Così l’azione di marzo è stata presentata alle masse sotto forma dell’offensiva. A questo punto potete valutare la situazione nel suo complesso” (pag 250-251)
“Qual è il prossimo obiettivo? Per questi partiti [comunisti in Europa, ndr] è quello di conquistare il più rapidamente possibile la maggioranza degli operai industriali e il settore decisivo degli operai agricoli come pure dei contadini poveri, come noi li abbiamo conquistati in Russia – altrimenti non ci sarebbe stato l’ottobre! Certi malcapitati strateghi dicono, invece, che, visto che l’epoca è rivoluzionaria, abbiamo il dovere in ogni occasione di lanciare la lotta – anche la lotta parziale – con i metodi dell’insurrezione armata. La borghesia non avrebbe potuto chiedere di meglio! Nel momento in cui il partito comunista sta crescendo a ritmo rapido, e si sta allargando sempre di più in tutta la classe operaia, è interesse della borghesia provocare il settore più impaziente e più combattivo della classe operaia a lanciarsi nella lotta prematuramente – senza l’appoggio delle masse fondamentali della classe operaia – per essere in grado – grazie a sconfitte inflitte a settori isolati della classe operaia, di minare la fiducia del proletariato nella sua capacità di abbattere la borghesia. In una situazione del genere, la teoria secondo cui si dovrebbe prendere sempre l’offensiva e lanciare anche le battaglie parziali con i metodi dell’insurrezione armata non fa che portare acqua al mulino della controrivoluzione. Per questo il Partito russo, appoggiato da tutti gli elementi più maturi del III congresso, ha detto con fermezza ai compagni dell’ala sinistra: «Siete ottimi rivoluzionari e combatterete e morirete per la causa del comunismo, ma questo non ci basta. Dobbiamo non solo combattere, ma vincere! E per questo è necessario padroneggiare al massimo l’arte della strategia rivoluzionaria»” (pag 258)
“A causa della relativa facilità con cui la rivoluzione di ottobre è stata realizzata, la vittoria del proletariato russo non è apparsa ai gruppi dirigenti degli operai europei in tutta la sua dimensione di portata politico-strategica e perciò questo non è stato adeguatamente assimilato” (pag 259) [Lev Trotsky, Problemi della rivoluzione in Europa. I primi anni dell’Internazionale comunista’, Mondadori, Milano, 1974]