‘Passando alla fase dell’imperialismo non assistiamo alla fine di quelli che erano i caratteri della prima fase del capitalismo. Questi caratteri, questo capitalismo del primo periodo torna a operare all’interno dell’imperialismo stesso. È l’imperialismo stesso che mentre per un verso nasce proprio dalla progressiva riduzione della sfera della concorrenza e, quindi, della concentrazione capitalistica, d’altra parte questo stesso capitalismo nella fase dell’imperialismo rigenera perennemente le forme da cui si è prodotto; rigenera la concorrenza, rigenera le forme del piccolo imprenditore e del commerciante, ecc. Il problema viene fuori con chiarezza nel dibattito che si sviluppa tra Lenin e Bucharin nell’VIII Congresso del Partito bolscevico. La tesi di Bucharin in apparenza sembrava una tesi più a sinistra di quella di Lenin. Egli sosteneva che nella fase dell’imperialismo fosse inutile continuare l’analisi delle forme originarie del capitalismo. Di conseguenza tutta la prospettiva politica doveva ormai essere costruita soltanto in funzione della dinamica e dello sviluppo dell’imperialismo stesso. Le critiche di Lenin a Bucharin sono particolarmente interessanti perché è da questa diversa analisi economica che si pongono prospettive di alleanza politica, e quindi di sviluppo rivoluzionario, completamente diverse. L’imperialismo puro – dice Lenin – senza la base fondamentale del capitalismo non è mai esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere. Quella di Bucharin è una generalizzazione errata, come è sbagliato tutto ciò che è stato detto sui sindacati, i cartelli, i trusts, il capitale finanziario, da coloro che presentavano il capitalismo finanziario come se non reggesse su nessuna delle basi del vecchio capitalismo. L’apparente concretezza di Bucharin consiste nell’esposizione libresca del capitalismo finanziario. In realtà noi osserviamo dei fenomeni di diverso genere, e in ogni governatorato agricolo vediamo la libera concorrenza accanto all’industria monopolizzata. In nessun luogo del mondo il capitalismo monopolistico non è esistito e non esisterà mai senza che in parecchi settori dell’economia sussista la libera concorrenza. Descrivere tale sistema al modo di Bucharin significherebbe descrivere un sistema staccato dalla vita e falso. È un errore nel quale si cade molto facilmente. Se ci trovassimo di fronte a un imperialismo integrale,, che avesse rifatto da cima a fondo il capitalismo, il nostro compito sarebbe centomila volte più facile, perché avremmo un sistema nel quale tutto sarebbe sottomesso al solo capitale finanziario. Non ci resterebbe allora che sopprimere la cima e mettere il resto nelle mani del proletariato. Sarebbe una cosa infinitamente piacevole, ma che non esiste nella realtà. In realtà l’imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo, e quando crolla ci si trova di fronte alla cima distrutta e alla base messa a nudo. Il capitale finanziario, la concentrazione monopolistica non impedisce che alla base dell’edificio si rigenerino continuamente le figure del piccolo imprenditore, del commerciante, e anche dell’usuraio. Non impedisce, insomma, che si rigeneri continuamente la piccola borghesia, che in base a questa più realistica diagnosi diventa quindi un fattore permanente del quale il politico rivoluzionario deve tener conto e con la quale deve cercare di stabilire un’alleanza. È interessante rilevare che quando non si colga questa interrelazione fra la fase monopolistica, tra il vertice della costruzione e la base della piramide, si cade nella posizione tipica del discorso socialdemocratico. I kautskiani – dice sempre Lenin nei ‘Quaderni sull’imperialismo’ (6) – adducono questi fenomeni, cioè il rigenerarsi continuo del piccolo imprenditore e delle altre figure, come esempio di un capitalismo pacifico, sano, basato sullo scambio pacifico, al quale si opporrebbe il capitalismo finanziario. Ma non cogliendo l’interrelazione fra questi due aspetti l’analisi socialdemocratica è portata a distinguere due lati nel capitalismo: un lato cattivo, il lato bellicista, aggressivo, che sarebbe il lato del capitalismo monopolistico, al quale essa oppone l’altro lato, il cosiddetto lato buono, che sarebbe, invece, espresso in quella base della piramide dove, appunto, si rigenera permanentemente il regime della libera concorrenza. Conseguentemente la socialdemocrazia oppone un capitalismo buono a un capitalismo cattivo, il che è di nuovo il presupposto per capire certi discorsi come quello di Strachey. Secondo Strachey attraverso i semplici modi della democrazia politica (dove per democrazia politica si intende di nuovo il mero funzionamento tecnico del sistema), ci sia la possibilità di imbrigliare e rimuovere progressivamente gli aspetti negativi e deteriori del capitalismo, e, quindi, vi sia la possibilità di costruire uno Stato del benessere senza arrivare a superare le differenze di classe” (pag 159-162)  [Lucio Colletti, ‘Lezioni di filosofia politica’, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2017] [(6) V.I. Lenin, ‘Quaderni sull’imperialismo’, Roma, 1971, pp. 164-165)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM]