“Ma è poi vero che (…) [il liberalismo] è del tutto immune dalla macchia del totalitarismo? In realtà, c’è un’istituzione totale, oggetto della dura critica di Marx ed Engels. Sto parlando delle «case di lavoro» (Work-houses) o «case di correzione» nelle quali venivano rinchiusi, spesso su un semplice provvedimento di polizia, i disoccupati e tutti coloro che venivano considerati «oziosi vagabondi». (…) Intanto l’ammirata descrizione delle case di lavoro rinvia ad ambienti liberali citati con favore da Hayek (2). E poi, si tratta di un’istituzione che aveva il suo centro in Inghilterra. E proprio con riferimento al paese classico del liberalismo, il giovane Engels ci rivela una serie di particolari ancora più impressionanti: «I ‘paupers’ portano l’uniforme della casa e sono soggetti all’arbitrio del direttore senza la minima protezione; affinché «i genitori “moralmente degradati” non possano influire sui loro figli, le famiglie vengono separate: l’uomo viene inviato in un’ala, la donna in un’altra, i figli in una terza». L’unità familiare viene rotta, ma per il resto, sono tutti ammassati talvolta fino al numero di dodici o sedici per una sola stanza e su di tutti viene esercitato ogni tipo di violenza che non risparmia neppure i vecchi e i bambini e che comporta attenzione particolari per le donne. In pratica – conclude Engels – gli internati delle case di lavoro vengono dichiarati e trattati come «oggetti di disgusto e di orrore posti al di fuori della legge e della comunità umana» (3). Si tratta di un’istituzione – si potrebbe oggi aggiungere – sulla quale avrebbe potuto degnamente campeggiare la scritta ‘Arbeit macht frei’, il lavoro rende liberi! E tuttavia, non mancano coloro che considerano insufficientemente severa la disciplina vigente in tale istituzione. Alla fine del ‘600, nell’Inghilterra liberale scaturita dalla ‘Rivoluzione Gloriosa’, viene avanzata una proposta per un ulteriore giro di vite: «Chiunque falsifichi un lasciapassare [uscendo senza permesso] sia punito con il taglio delle orecchie: la prima volta, la seconda sia deportato nelle piantagioni come per un crimine», e quindi ridotto in pratica alla condizione di schiavo. Ma c’è una soluzione ancora più semplice, almeno per coloro che hanno la sfortuna di essere sorpresi a chiedere l’elemosina fuori dalla loro parrocchia e vicino ad un porto di mare: che siano imbarcati coattivamente nella marina militare: «se poi scenderanno a terra senza permesso, oppure si allontaneranno o si tratterranno a terra più a lungo del consentito, saranno puniti come disertori», e cioè con la pena capitale. Ma chi è l’autore di queste proposte? È John Locke (4), sì, il padre del liberalismo. E di nuovo, è dal seno stesso dell’Europa liberale che emerge l’universo concentrazionario, tanto più che la caccia agli «oziosi vagabondi» sembra comportare una partecipazione corale del resto della popolazione, dato che a catturarli sono chiamati gli stessi abitanti della casa presso cui gli accattoni hanno avuto la sventura di bussare. Siamo realmente in presenza di «legislazione sanguinaria contro i vagabondi»: il giudizio è di Marx che nel ‘Capitale’ denuncia anche il fatto che i rapporti di lavoro sostanzialmente schiavistici si siano mantenuti in Inghilterra fin nel cuore dell’Ottocento (5)” (pag 107-109) [Domenico Losurdo, ‘Marx e la storia del totalitarismo’ (in) ‘Massa Folla Individuo’, Quattroventi editore, Urbino, 1992, a cura di Alberto Burgio, Gian Mario Cazzaniga, Domenico Losurdo] [(2) F.A. von Hayek, ‘Studies in Philosophy, Politics Economics and the History of Ideas’, 1978, tr. it. Armando, Roma, 1988; (3) F. Engels ‘Die Lage der arbeitenden Klasse in England, 1845, in K. Marx – F. Engels, Werke, Berlin, 1955 e sgg. (Mew), vol. II, p. 143; (4) Il testo del 1697; scritto da Locke nella sua qualità di membro della ‘Commission of Trade’ è riportato in H.R.F. Bourne, ‘The Life of John Locke’, 1876 (ristampa Aalen, 1969, vol. II, pp. 377-90; (5) K. Marx, ‘Das Kapital’, in Mew, vol. XXIII, pp. 761-5]