“Joseph Weydemeyer resistette in Germania ancora due anni dopo il 1849, l’anno in cui ebbe inizio il periodo della reazione, infine nel 1851 dovette abbandonare il paese ed emigrò negli Stati Uniti dove svolse un’attività intensa e fruttuosa, fornendo un contributo inestimabile all’organizzazione dei lavoratori e alla diffusione delle teorie economiche propagandate dal Manifesto comunista. Venne in questo aiutato con entusiasmo dal suo compagno e amico Hermann Meyer. Collaborò alla ‘Reform’ di New York, alla ‘Neu-England-Zeitung’ (di Boston), alla ‘Turnzeitung’ e ad altri giornali; tenne inoltre conferenze sulle questioni economiche del paese. Infine, trasferita la propria resistenza a Saint Louis, partecipò valorosamente alla guerra contro i ribelli sudisti, prima come capitano di compagnia e poi come colonnello di reggimento. Alla fine della guerra civile venne nominato sovrintendente alle finanze della città di Saint Louis. Nell’autunno del 1866 la morte si portò via quest’uomo da tutti stimato. La sua coraggiosa e adorata moglie, una Lüsung di nascita, gli sopravvisse per diversi anni. Il figlio Otto partecipò intensamente, negli anni Settanta, all’attività di agitazione dell’Internazionale, e credo che ora viva in Messico. Sua figlia Laura sposò Max Livingston che fu tra i primi membri del Communist Club di New York assieme a suo fratello Julius, e contribuì efficacemente all’agitazione dell’Internazionale negli Stati Uniti. Dopo la morte della signora Weydemeyer, Max Livingston entrò in possesso del lascito di Joseph Weydemeyer, e, dopo la loro dipartita, anche di quello di Hermann Meyer, di Max Joseph Becker (di Hanne), e di una parte del lascito di Siegfried Meyer” (pag 4); “Mentre i profughi democratici piangevano sempre più disperati sulle loro speranze deluse, Marx e Engels sapevano cosa c’era da fare nella fase di pausa dello sviluppo rivoluzionario. Nel poscritto a una lettera del 27 giugno 1851 a Weydemeyer, in cui Marx si diceva molto amareggiato per gli intrighi di Kinkel, Ruge e Willich, scriveva (14): «In genere sto dalle nove del mattino alle sette di sera al British Museum. La materia su cui sto lavorando è così maledettamente ramificata / estesa e complessa che, nonostante tutto il mio impegno, non riuscirò a concludere lo studio prima di sei, otto settimane. Ci sono anche intoppi pratici, inevitabili nell’ambiente di Londra, dove si prende tutto con flemmaticità. Nonostante tutto il mio lavoro si sta avviando alla conclusione. Qualche volta è necessario costringersi a concludere. Quei “simpletons” (15) di democratici, che sono illuminati “dall’alto”, non hanno naturalmente bisogno di simili fatiche. E allora che fatichino con l’economia e la storia, questi sfaticati! È tutto così semplice, come suole dirmi l’egregio Willich. Tutto così semplice! In queste teste vuote. Forza allora sempliciotti!»” (pag 9) [Franz Mehring, Nuovi contributi alle biografie di Karl Marx e Friedrich Engels. (Franz Mehring: ‘Neue Beiträge zu Biographien von Karl Marx und Friedrich Engels’, April 1907; traduzione dal tedesco) [Die Neue Zeit, 25. Jg. 1906/07, Zweiter Band, S. 15-21. Nach Gesammelte Schriften, Band 4, S. 77-86, April 1907] [(14) Marx Engels, Opere Complete, Editori Riuniti, vol. XXXVIII, pag 572 (ndt); (15) Sempliciotti, semplicioni (ndt)]