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“Ma proprio nel senso che il partito presenta una struttura così unitaria che ogni mutamento di direzione nella lotta si traduce in una concentrazione ed in un raggruppamento di tutte le forze, ogni modificazione di atteggiamento si ripercuote sino al singolo membro del partito; viene così potenziata al massimo la sensibilità dell’organizzazione verso i mutamenti di direzione, l’esaltazione della combattività, i momenti di ripiegamento, e così via. A questo punto si spera che non sia più necessario spiegare che tutto ciò non significa «obbedire a corpo morto». Infatti, è chiaro che proprio questa sensibilità dell’organizzazione scopre con estrema rapidità, nella sua applicazione pratica, la falsità di certe parole d’ordine, che proprio essa stimola al massimo grado la possibilità di una sana autocritica in modo da accrescere la capacità di azione (27). D’altro lato, è ovvio che la solida coesione organizzativa del partito non lo rende soltanto oggettivamente capace di agire, ma crea al tempo stesso nel partito l’atmosfera che rende possibile un attivo ed energico intervento negli avvenimenti, lo sfruttamento di tutte le occasioni che essi offrono. Perciò, una centralizzazione effettivamente realizzata di tutte le forze del partito, già in virtù della propria dinamica interna, non può fare a meno di stimolare il partito in direzione dell’attività e dell’iniziativa. Se invece si ha la sensazione che l’organizzazione non sia sufficientemente salda, ciò porta necessariamente a frenare e paralizzare le scelte tattiche, persino l’atteggiamento teorico di fondo del partito (si pensi, ad esempio, al partito comunista tedesco del putsch di Kapp). «Per un partito comunista – dicono le tesi del III Congresso sull’organizzazione – non vi è un tempo in cui l’organizzazione di partito possa essere politicamente inattiva». Questa permanenza tattica ed organizzativa non solo della disponibilità alla lotta rivoluzionaria, ma della stessa attività rivoluzionaria, può essere compresa nel suo giusto senso solo se si comprende pienamente l’unità tra tattica ed organizzazione. Infatti, se la tattica viene separata dall’organizzazione, se in entrambe non si scorge lo stesso processo di sviluppo della coscienza proletaria di classe, è inevitabile che il concetto di tattica ricada all’interno del dilemma opportunismo-putschismo; ed in tal caso l’azione rappresenterebbe o un atto isolato della «minoranza cosciente» per la presa del potere, oppure qualcosa che si adegua ai desideri immediati delle masse, qualcosa di «riformistico», mentre all’organizzazione spetterebbe soltanto la funzione tecnica di «preparare» all’azione. (La concezione di Serrati e dei suoi seguaci, così come quella di Paul Levi, si trova su questo piano). Ma la permanenza della situazione rivoluzionaria non significa che la presa del potere da parte del proletariato sia possibile in qualsiasi momento. (…) Il carattere rivoluzionario della situazione si manifesta in primo luogo e nel modo più palese nel continuo decrescere della stabilità delle forme sociali, causato dal fatto che l’equilibrio delle forze e dei poteri sociali su cui si sostiene la società borghese diventa sempre più instabile” (pag 408-410) [György Lukacs, ‘Storia e coscienza di classe’, Sugar editore, Milano, 1970] [(27) «Alla politica ed ai partiti si può applicare – una volta apportate le modificazioni opportune – ciò che vale in rapporto alle persone singole. Intelligente non è colui che non fa errori; uomini di questo genere non ci sono e non ci possono essere. Intelligente è colui che non fa errori veramente sostanziali e che sa correggerli rapidamente e facilmente» (Lenin, ‘Radikalismus’, p. 17)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]