“Ben diverso sarà invece il destino storico del movimento operaio più specificatamente socialista, quale andrà costituendosi soprattutto a partire dai primi anni ottanta, e che troverà nella «Critica Sociale» di Filippo Turati e Anna Kuliscioff (1881) un punto di riferimento e di organizzazione, e coronerà, nel 1892, con la fondazione del Partito dei lavoratori italiani, che diverrà l’anno dopo Partito socialista dei lavoratori italiani. Vi aderiranno ben presto Intellettuali assai noti, come Edmondo De Amicis, Cesare Lombroso, Enrico Ferri e molti altri. Si trattava certo – come scriverà Antonio Labriola in una lettera del 1894 a Wilhelm Ellenbogen – «di una coalizione di elementi disparati»; e tuttavia il sistema di idee sostanzialmente dominante, malgrado le occasionali affermazioni di «marxismo», si palesò largamente orientato in senso positivista. Si può anzi aggiungere che il partito socialista, anche nel successivo periodo della controffensiva neo-idealistica, divenne e rimase il maggior canale di diffusione in Italia della cultura positivistica, compiendo in questo campo una vasta azione educativa attraverso la propria stampa e la rete delle università popolari e delle iniziative a esse collegate. (…) Aveva dunque torto Antonio Labriola, il maggiore teorico e intellettuale socialista di quel periodo storico, a condurre, nei suoi saggi marxisti, un’aspra polemica contro il positivismo entro e fuori la cultura del movimento operaio? È qui forse il luogo di precisare l’ottica specifica con la quale vengono tracciate queste linee di ricostruzione e di analisi di storia della cultura. Non si identifica, in quest’ottica, la storia delle idee, intesa come succedersi critico di posizioni teoriche più avanzate e corrette, con la storia della cultura e degli intellettuali, che è necessariamente storia sociologica, e persino, nel senso tecnico di questo aggettivo «antropologica». In questa luce la lettura che Labriola dette al pensiero di Marx non solo individuava con esattezza nel materialismo storico un insieme di proposizioni teoriche nuove e originali da un lato, profondamente operative dal punto di vista conoscitivo dall’altro, ma ne coglieva tutta la distanza dal positivismo ottocentesco, e soprattutto dalla «filosofia», in senso stretto, di cui questo si nutriva. Ma aveva certamente torto Labriola quando, nell’occasione stessa del congresso di Genova, scriveva a Engels che da esso nulla di buono vi era da aspettarsi, e avrà torto nel non «cogliere la positività del processo che comunque così veniva messo in moto» (4). Più realista di Labriola, vale a dire più consapevole dell’elemento di rottura che questa cultura socialista, quale essa era, poteva costituire, si dimostrò quella parte dell”intellighenzia’ che, negli ultimi anni del secolo, cominciò a elaborare le posizioni del neoidealismo da un lato, del nazionalismo dall’altro: proprio negli stessi anni in cui la reazione crispina scioglieva, nel 1894, in base alla legge sulle «associazioni sovversive» il partito socialista, mentre i suoi immediati successori ne metteranno, nel 1898, i maggiori esponenti in galera.” (pag 160-161) [dal saggio di Mario Spinella, ‘Intellettuali, società, stato’, (in) AaVv, ‘Storia della società italiana. Parte quinta. Volume XVI. Il pensiero e la cultura nell’Italia unita’, Teti editore, Milano, 1982] [(4) A. De Jaco, I socialisti, Roma, 1974, p. XXV]