“La rivalutazione della terra e la polemica contro le bardature feudali erano motivi non meno cari ai ‘philosophes’ che ai fisiocrati (e non casualmente Quesnay collabora all’Enciclopedia), ma l’orientamento dei secondi per il potere assoluto e per una società fondata sulla disuguaglianza era destinato a suscitare le critiche dei primi e Voltaire arriverà a scrivere «che un solo uomo sia proprietario di tutte le terre, è un’idea mostruosa» (74) (ciò che non gli impedirà di valutare positivamente il decreto «fisiocratico» che stabiliva, nel settembre del 1774, a opera del Turgot, la libertà del commercio dei grani all’interno del regno e la libertà di importazione). Mettere in evidenza le astrattezze e quasi si direbbe le ingenuità delle dottrine fisiocratiche è agevole e già a suo tempo il Galiani avanzò critiche acute e penetranti (75), che non è qui il caso di ripercorrere. Ed è anche da ricordare che, nonostante le adesioni che ricevette e gli entusiasmi che in molti suscitò, la teoria rimase tale e non ebbe applicazioni che potessero darne una verifica convincente, nemmeno nel Baden dove fu ufficialmente adottata. Tutto questo non deve far dimenticare, però, che, dall’altro lato, la fisiocrazia rappresenta una delle prime elaborazioni razionali e in sé coerenti di un «modello economico». Un modello, oltretutto, che, nel caso specifico, prefigura l’organizzazione capitalistica. Un secolo più tardi Marx scriverà: «Il sistema fisiocratico è la prima concezione sistematica della produzione capitalistica» (76) e, sottolineando l’importanza di aver compreso e posto in primo piano il processo di accumulazione necessario al capitale per i suoi investimenti periodici, antepone a quelle di Adam Smith i meriti dei fisiocrati, anche se essi, a suo dire, hanno confuso il ciclo del denaro con il corso del denaro e anche se non sono riusciti a vedere che il processo di accumulazione non appartiene solo all’agricoltura, ma anche ad altre attività a cominciare da quella manifatturiera-industriale e ha la sua radice non nel tipo di produzione che si privilegia rispetto alle altre, ma nel modo con il quale una certa società organizza la produzione (77). Non solo, ma la fisiocrazia, pur restando separata dalla realtà (prezzi e salari dovunque sono in ascesa continua, anche se non regolare, nel Settecento, e sarebbe sufficiente questo fenomeno, non dovuto a ragioni protezionistiche o non dovuto solo a quelle, al contrario di ciò che ritenevano i seguaci di Quesnay, per rendere inapplicabile la teoria), esprime, in modo indiretto ed efficace al tempo stesso, le aspirazioni, che potremmo chiamare genericamente «borghesi» (ma condivise anche da più di un nobile), di molti proprietari agricoli a un uso più libero delle loro terre e dei prodotti che ne ricavano, a un possesso non condizionato dagli usi civici e a un commercio che garantisca maggiori guadagni” [Ivo Biagianti – Roberto G. Salvadori, ‘Il riformismo leopoldino in Toscana’, (in) ‘Storia della società italiana. Parte quarta. Volume XII. Il secolo dei lumi e delle riforme’, Teti editore, Milano, 1989] [(73) v. F. Diaz, Filosofia e politica nel Settecento francese’, Torino, 1973; (74) Ivi, cit., a p. 395, n. 2; (75) v. F. Diaz, ‘Filosofia e politica’, cit., pp. 411-418; (76) K. Marx, ‘Il Capitale’, Roma, 1970, L. II, sez. III, cap. XIX, par. I; (77) Ivi, L. I., sez. I, cap. I, par. 4; L. I, sez. V, cap. XIV; L. I, sez. VII, cap. XXII, par. 2; L. II, sez II., cap. X; L. II, sez. II, cap. XVII, par. I]