“Beninteso, tra la forma e il fatto della transizione sussiste in Marx una differenza, uno iato cruciale; Hilferding invece si spinge in avanti, lanciandosi in una vera e propria premonizione: la tendenza alla centralizzazione, «se completamente soddisfatta, porterebbe alla concentrazione di tutto il capitale monetario in una sola banca o in un unico gruppo di banche, che potrebbero quindi disporne incondizionatamente. E’ chiaro che una simile ‘centrale bancaria’ potrebbe esercitare un controllo assoluto sulla produzione dell’intera società». E «una volta che il capitale finanziario abbia assoggettato a sé i più importanti rami produttivi», la società non avrebbe avuto altro compito che «impadronirsi del capitale finanziario servendosi in ciò del proprio consapevole organo esecutivo», vale a dire lo stato. L’ipotesi dell’afflusso di tutto il capitale nelle mani di un’unica gigantesca «centrale bancaria», fino alla espropriazione della medesima da parte del potere statale, diede luogo a numerose controversie. Schumpeter la definì «una franca abiura della teoria del crollo», sostituita dall’idea che «la società capitalistica, lasciata a sé stessa, avrebbe sempre più consolidato la sua posizione, “pietrificandosi” in una sorta di organizzazione gerarchica o feudale» (35); proprio per ciò, Lenin la attaccò a fondo, riconoscendovi il frutto (a suo avviso marcio) delle tendenze revisionistiche della socialdemocrazia tedesca (36). Più di recente, poi, si è sostenuto che l’ipotesi della «centrale bancaria» dipendeva a sua volta da quella della crescente importanza assunta dall’autofinanziamento delle imprese (37)” (pag XXI-XXII) [(35) Joseph A. Schumpeter, ‘Storia dell’analisi economica’ [1954], Torino, Bollati Boringhieri, 1990, III, p. 1085; (36) Si veda Lenin, ‘L’imperialismo, fase suprema del capitalismo’ [1917], in Id., Opere complete, XXII, Roma, Editori Riuniti, 1966. Non dissimili le critiche che a Hilferding rivolse Henryk Grossmann, ‘Il crollo del capitalismo’ [1929], Milano, Mimesis, 2010; (37) Giulio Pietranera, ‘Il pensiero economico di Hilferding e il dramma della socialdemocrazia tedesca’, in R. Hilferding, ‘Il capitale finanziario’, Milano, Feltrinelli, 1961]; La questione del ‘capitale fittizio’. (Nota 31): “Notiamo a margine che Hilferding si dimostra davvero acuto lettore di Marx. Sappiamo adesso che questi, alla sua morte, aveva lasciato il manoscritto relativo all’esame del credito bancario e della società per azioni in una forma alquanto approssimata, ma connotata dall’inclusione all’interno di un ‘unico capitolo’ (intitolato «Credito e capitale fittizio») della trattazione del movimento complessivo della riproduzione capitalistica una volta comparsi il credito e la società per azioni (cfr. K. Marx, ‘Ökonomische Manuskripte, 1863-1867’, Teil II, Berlin, Dietz, 1992). Questa impostazione venne però profondamente modificata da Engels, che – accingendosi alla redazione di quello che poi sarebbe stato dato alle stampe come «il terzo libro del ‘Capitale’» – suddivise quella parte del manoscritto in undici distinti capitoli, attribuendo il titolo generale («Credito e capitale fittizio») solo al primo di essi (il venticinquesimo) e conferendo dignità di capitoli autonomi a parti dell’esposizione che autonome, invece, non erano affatto. In tal modo, il concetto che per Marx doveva considerarsi come unificante dell’intera trattazione veniva a costituire solo uno degli argomenti trattati, e si perdeva l’autentica struttura dell’esposizione marxiana. In mancanza di evidenze che Hilferding conoscesse il manoscritto originario, risulta davvero sintomatica di una profonda comprensione dell’analisi marxiana la sua scelta di unificare sotto il concetto di «capitale fittizio» la trattazione del processo di autonomizzazione del capitale creditizio rispetto al capitale industriale” (pag XX)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:16 Aprile 2020