“Il liberale perviene al marxismo attraverso una sorta di marxismo legale che, verificatosi durante il periodo borghese, fornisce l’indicazione della sua collocazione e ruolo, ne esalta la missione e lo rassicura sul suo avvenire. Fa sua la frase di J. Schumpeter: «Dire che Marx, una volta privato della sua fraseologia, può essere interpretato in senso “conservatore” significa dire che lo si può prendere sul serio» (1). Il marxismo, pensa, non è altro che la più chiara teoria dello sviluppo capitalista. Il marxismo manifesta una razionalità mirabilmente semplice; stabilisce l’ordine delle priorità e concentra tutta la sua critica contro tutte le manifestazioni : economiche, umane e culturali del sistema feudale. Di fronte alle relazioni personali in economia, esalta il libero contratto; di fronte ai legami di potere, egemonia, vassallaggio, vanta la libera espressione della volontà democratica; di fronte alla verità circoscritta e imposta mediante metodi polizieschi, invoca la libertà di ricerca e di pensiero. Il marxismo giustifica e soprattutto predice l’avvento ineluttabile di tutto ciò che il liberale esige con più o meno fortuna e decisione. Più la lotta contro le strutture tradizionali si perpetua, più il liberale si sente pronto ad attingere ragioni di speranza (2) nel marxismo. Ma un marxismo così concepito gli serve soprattutto per difendersi: pretendendo di imporre il silenzio a tutti gli impazienti, a quelli che sperano di creare il tempo nel tempo e a obbligare la storia a secernere la sua sostanza” (pag 180-181) [Abdallah Laroui, ‘L’ideologia araba contemporanea’, Milano, 1969] [(1) J. Schumpeter, ‘Capitalismo, socialismo e democrazia’, Milano, 1967; (2) L’esempio più tipico è quello di Mohammed Mandur, all’epoca del Walfd]